giovedì 3 agosto 2017

Perle ai porci e jazz agli animali.

Nella boxe esiste una combinazione di colpi, di cazzotti, che viene chiamata uno-due, ad indicare una scarica violenta e spesso fatale di pugni che manda KO o quasi il pugile che la riceve. La sensazione è la stessa che ho provato questa mattina, verso le 12, con mia figlia, durante la visita ad uno dei più importanti complessi architettonici e archeologici paleocristiani dell'Occidente (sì, dell'Occidente, non della provincia di Napoli): Cimitile.
Il luogo si direbbe poco frequentato dai turisti, credo sia poco noto agli italiani, direi per niente apprezzato dai cittadini locali, visto lo stato in cui versa. Pur in pieno periodo di vacanze e turismo, noi due eravamo gli unici visitatori di quello che definirlo un sito archeologico va bene perché siamo in Italia, altrimenti si sarebbe chiamato, viste le condizioni, un luogo abbandonato, post-bellico, già nella parte monumentale (dopo capirete perché dico "già"). 
Il primo dei due cazzotti metaforici è stato alimentato dai soliti scavi fatti senza alcun progetto successivo di fruizione e malamente abbandonati nel tempo, reperti sparsi al suolo, recinzioni vergognose di legno marcio e ferro arrugginito, sparuti foglietti con le spiegazioni tagliate in due dalle intemperie, fari improvvisati messi per terra, sedie rotte e masserizie abbandonate negli angoli che mi sono rifiutato di fotografare per il dolore, personale sul sito assente, tranne il gentile custode all'ingresso, polvere e degrado da far piangere il mio cuore di archeologo e di cittadino dell'Europa, quell'Europa che ci consente impunemente tutte queste licenze di uccidere un patrimonio che appartiene a tutti. Tuttavia, i resti monumentali pur nella loro impossibile comprensione stratigrafica sono mirabili, straordinari, da lasciare senza fiato chi ci entra e mai si aspetterebbe di trovarsi davanti a quelle testimonianze tanto preziose nascoste nello stretto vicolo tra le case. Insomma, un luogo straordinario, da visitare obbligatoriamente.
Poi c'è il secondo cazzotto. Nell'area tra gli edifici sacri ieri sera si è tenuto un concerto del festival Pomigliano Jazz in Campania, iniziativa di grande interesse che viene tenuta in spazi molto suggestivi come il cratere del Vesuvio, anfiteatri, musei, scavi ecc. Ottima idea. Ottima iniziativa che non ha certo bisogno del mio sostegno. Purtroppo la collocazione all'interno dell'area archeologica di Cimitile e lo svolgimento del concerto – che mi auguro essere stato un successo – sono stati funestati dal comportamento degli spettatori e, in buona sostanza anche degli organizzatori e dei padroni di casa, che hanno pensato bene di lasciare una montagna di rifiuti sparsi sul prato, esattamente dove si erano accomodati, a spregio e sfregio del luogo che li ospitava e di coloro che all'indomani avrebbero magari visitato il sito. Bottiglie, lattine, bicchieri, programmi del festival, resti di panini, cartacce: tutto al suolo, senza ritegno, senza vergogna, abbandonato lì a far bello spettacolo del livello di cultura e civiltà dei presenti. Eppure si diceva che la musica jazz è una musica colta, apprezzata da persone che dovrebbero forse aver acquisito un patrimonio di conoscenze sufficiente almeno a dire "metto la lattina vuota nel contenitore della spazzatura", pure presente. Uno spettacolo immondo. Parliamo col custode che si mortifica e dice che dovrebbero venire gli operatori del comune e comincia a raccogliere la spazzatura da solo, con le mani, aiutato da un ragazzino. Usciamo e chiamiamo il Comune. Nessuno risponde. Decidiamo di andarci fisicamente. Chiediamo a una persona che ha un negozio nei pressi e ci dice che lui non sa dove sono i vigili né il comune (vedi scene cult della filmografia sulla mafia). Un altro invece ci da l'indicazione tanto segreta e ci andiamo. Deserto. Compare un costode che ci chiede se siamo cittadini di Cimitile per presentare quel reclamo e io rispondo che siamo cittadini d'Europa. Straniato, gli manca la parola e ci manda a parlare con l'ufficio detto "tecnico". Visibilmente disturbiamo due signori intenti a fare qualcosa e presentiamo il caso. Si meravigliano della nostra protesta e senza guardarci troppo in faccia ci dicono che entro sera qualcuno dovrebbe andare a pulire. Entro sera. Salutiamo e ce ne andiamo convinti che di più non possiamo fare in quel posto semi-deserto che ricorda molto da vicino la sensazione semi-desertica che abbiamo provato negli scavi qualche minuto prima. Partiamo alla volta della Reggia di Caserta.

mercoledì 29 marzo 2017

Le lacrime, il tempo e le ciliegie



Treno Napoli-Milano 23 marzo 2017 h.8:25.
Dal posto 4 della carrozza 8 di Italo guardo Napoli che si allontana a marcia indietro. Torno a Milano per l'ultima volta da residente e mi preparo a lasciarla dopo 27 anni e a tornare, dopo 36, a vivere nel luogo in cui sono nato: Cava de' Tirreni. Ascolto per accelerare l'emozione e la commozione le canzoni napoletane cantate da Massimo Ranieri della raccolta che contiene "Cerase", scoperta che devo a Rossella Savio. 
La canzone racconta di lacrime grandi come ciliegie e mi accorgo che sto piangendo in silenzio anch'io guardando fuori campagne come giardini e discariche come inferni. Il tempo comanda ora più che mai le mie giornate, una successione di avvenimenti vissuti in solitaria, decisioni, manovre, trasporti, appuntamenti che asciugano inesorabilmente la clessidra di sopra per riempire quella di sotto.
Ho calcolato approssimativamente il numero delle persone care che vorrei abbracciare prima di partire, persone che vorrei salutare una per una per afferrare ancora una volta quei sorrisi e gettarli nella mia sporta ricamata a fiori: sono più di cento, forse duecento, trecento. Troppi. Mi arrendo. Resto impotente di fronte al tempo e alle energie che mi mancano. Non ce la posso fare! I giorni mi si sono consumati tra le mani, la decisione è stata presa velocemente e tutto il resto è rotolato appresso. Allora cerco consolazione a questo dolore affidando l'abbraccio al ricordo dei momenti più belli vissuti insieme, quelli passati per strada, alle feste, nella politica, nel negozio, sulle zattere, nelle scuole, negli uffici. Rivedo in una folla chiassosa tutti i visi apparsi sulla mia scena per caso, per amore, per passione, per insegnarmi, per ascoltarmi, per ospitarmi in questa metropoli che in fondo non sono riuscito ad amare ma che mi ha regalato quest'immensa miniera fatta storie che non mi lasceranno. 
Piango su un treno che segna 300 km/h, vado su e giù per il mio calendario, pronto a ripartire ancora una volta, per una vita nuova e intanto penso mestamente che non ho avuto il tempo di avvertire quasi nessuna di tutte queste persone. Ormai non posso fare più niente per rimediare e non mi resta che abbracciare il silenzio benevolo, sapendo che continueremo a volerci bene.