giovedì 27 novembre 2008

Ore 11 seminario al Berchet di Milano sulla pubblicità violenta


Care ragazze e cari ragazzi,
oggi è stata per me una bellissima mattinata. Il momento di commozione che avrete sicuramente notato nel momento in cui ho accennato a mia figlia è stato spontaneo e mi ha colto davvero di sorpresa. Forse per il piacere che provavo nel percepire – davanti ai vostri occhi attenti – che insieme stavamo lavorando per costruire un futuro migliore. Un futuro nel quale anche mia figlia dovrà crescere. Magari abbiamo fatto soltanto un piccolo passo insieme: voi nella crescita della vostra consapevolezza e io sul cammino della mia ricerca sociale. Ma migliaia di piccoli passi portano molto lontano. Io credo molto nel lavoro che faccio con la mia macchina fotografica al servizio della società e la vostra attenzione e la vostra acutezza nel porre domande mi ha dato grande incoraggiamento, come sempre mi capita nelle scuole. Nel momento in cui le istituzioni sono lontane e sorde e il mondo della società adulta si disinteressa delle cause collettive, proprio da voi studenti arrivano le più belle, limpide attestazioni di volontà. Volontà di cambiare, di crescere e di non ripetere i passi falsi che noi abbiamo percorso. La violenza sulla donna è un fenomeno odioso e criminale nel quale tutti e tutte siamo coinvolti. Certo, in percentuali molto diverse gli uni dagli altri, le une dalle altre, ma appare chiaro che tutti siamo inseriti in un sistema che su questa violenza pone le sue fondamenta. Ecco perché è così difficile da sradicare. Dalle vostre domande ho ricevuto la sensazione che una nuova società è possibile, meno diseguale, meno spietata. Il mio contributo di autore e di uomo sociale è ora di vostra proprietà per approfondire, se vorrete, per studiare e confrontarvi tra di voi, con i vostri professori, con le vostre famiglie su questo terreno così scivoloso come abbiamo visto questa mattina. Ma non lasciate le cose tornare al loro posto. Quello non è il posto giusto. Risponderò alle vostre domande anche in futuro tutte le volte che me le porrete se sarò in grado di farlo in maniera utile e libera da pregiudizi. Vi abbraccio tutte e tutti. Ico 

lunedì 13 ottobre 2008

di ritorno da napoli


sono stanco della mia stanchezza e della diffidenza degli abitanti di questo paradiso incancrenito.L'inaugurazione della mostra sul ri-ciclo della spazzatura è stata assai deludente. Tra tutte le istituzioni cittadine coinvolte si sono visti solo pochi addetti all'assessorato all'ambiente della provincia e l'ottima assessora alla pubblica istruzione di napoli. ma per il resto niente. le amministrazioni, chissà perché? non mi sembra abbiano creduto molto a questa iniziativa e addirittura non l'hanno neanche sfruttata. Mi chiedo spesso a cosa serva questa mia fotografia sociale. Serve sicuramente alle persone perbene e a quanti si fermano a sentire. ma sono sempre troppo pochi e i miei sforzi troppo grandi. Mi fa male vedere i fiumi di denaro pubblico che si sprecano mentre io produco comunicazione sociale a spese mie. che tristezza. Mi fermo un attimo a pensare se sto facendo la cosa giusta.

venerdì 19 settembre 2008

quando si rimane in silenzio



accade sempre più spesso che la complessità dei pensieri che si mettono in piedi nella testa e si preparano ad uscire per rispondere alla richiesta di un discorso sia superiore alla capacità dei pensieri stessi di muoversi e, soprattutto, al tempo che la persona che hai davanti ha deciso o ha l'abitudine di dedicare al pensiero altrui.
accade allora che resto in silenzio facendo la figura di uno che non ha niente da dire o che ha le idee confuse e non riesce a tirarle fuori. Quanto dolore e rammarico invece mi pervadono per questa velocità che non porta da nessuna parte. Leggero, sempre più leggero, è il pensiero degli uomini e di grande superficie. Tutto quello che in passato era ricerca di spessore e profondità oggi è macchia di olio che si espande sull'acqua. Sola superficie. E allora cosa ci resta da fare? continuare a fare fotografie sempre più difficili, entrare sempre più nell'astrazione, liberarsi delle facili conquiste dell'occhio per fotografare solo la propria musica.
accade allora sempre più spesso che io rinunci a spiegare il senso e il significato che ho cercato di mettere nelle mie immagini. Quanto tempo occorrerebbe del resto per raccontare le mille agitazioni dello spirito nel fotografare per una giornata intera spazzatura maleodorante vagamente differenziata per colori e materie. Restare lì a scrutare da vicino bottiglie, scatolette, lattine che altri avevano usato e poi scartato vuote rappresentava la lettura di un gesto elementare. Sì, ma cosa significa stare lì a fotografarli quegli oggetti senza più vita né contenuto? degli imballaggi. Sì, in gergo si chiamano così. Strumenti per contenere che dopo aver contenuto non servono più e vanno scartati, gettati, rifiutati. Dopo circa otto mesi che sto lavorando all'organizzazione di questa mostra sul riciclo a napoli mi chiedo perché nessuno se ne interessa veramente. Pochi arrivano a fare dei complimenti per l'idea, altri si meravigliano di traguardi tecnici raggiunti, per me del tutto insignificanti. Nessuno si ferma a cercare di leggere nel gesto creativo la portata del racconto. Il suo perché. E allora anch'io non sono più capace di interrogarmi, di mettermi alla prova, di scandagliare i miei gesti. allora, accade, che io resti in silenzio.

domenica 27 aprile 2008

Mare clandestino per Peace Reporter


Accade a volte nella vita di un reporter di voler guardare da vicino, con i propri occhi e senza altre immagini nella testa e nel cuore delle scene che già centinaia di volte gli sono state presentate. È questo lo spirito con il quale sono partito per la Sicilia ad aprile del 2007 per completare il mio lavoro sui bambini, sulla guerra, sulle migrazioni. Un lavoro in cui non si vedono né bambini ammazzati né guerra, ma scene allusive e poetiche di altalene, scivoli, tombe di soldati troppo giovani per morire, barche dai colori sgargianti. Così sono sceso in quei magnifici porti di Pozzallo, Marzamemi e Porto Palo spazzati dal vento e dal mare colore del fieno per fotografare quanto restava sulle barche dopo il loro abbandono. E ho trovato tracce infinite e tenere e disperate: scarpe, per lo più singole, giacche e pantaloni di tute, mutande da uomo e da donna – a volte con finti merletti – , cartoni di latte, bottiglie d’acqua con le scritte in arabo, pentole misere, segni di profonda umanità e di sconfinata tristezza. E fiori, cresciuti tra la sabbia e i gommoni.
Sono ripartito con una lunga serie di diapositive e con la voglia di sapere che fine avessero fatto tutti quei disgraziati. Le loro barche erano lì, a secco sulle banchine, pronte per essere distrutte. Ma loro?
Mare clandestino è la terza parte di un trittico che compone l’opera per fotografie, poesia e musica dal titolo Il parco-non-giochi, formato anche da Il parco-non-giochi e Death Commonwealth. Il tema di tutto il lavoro è la perdita dello spazio del gioco per i bambini nelle zone di conflitti e nelle migrazioni.

domenica 13 aprile 2008

Youssou N'dour. Un uomo mite.

Ascolto un pezzo di Yussou N'dour che si chiama Chimes of freedom e immagino che sarà il pezzo che chiuderà il mio nuovo spettacolo teatrale. Non che io abbia scritto tante cose per il teatro, ma tre o quattro sì. Rappresentate sempre in circuiti anzi tappe uniche piuttosto isolate e fuori dalla massa.
Pazienza. Sono piaciute a quelli che le hanno viste e ho visto la contentezza nei loro occhi quando mi abbracccciavano alla fine. Mi piace questa musica e quest'uomo che la canta che dev'essere un uomo mite. Mi fa uscire da questa prigione in cui mi trovo in questi giorni. Noi uomini e donne che abbiamo deciso di vivere d'arte siamo sfortunati se non possiamo muoverci da questa città, milano, e viaggiare altrove. Ricordate quei giorni passati in marocco che ho raccontato? Sono stati preziosi e dolorosi. Ora che sono qui e la mia ultima mostra si è appena conclusa senza un'altra in programma e senza la possibilità di partire e esplorare nuovi sentieri, questo mi rende triste. Questa sera.
E lui canta come canta un uomo gentile. porterò il suo suono dentro di me quando partirò per una nuova avventura creativa. Succede sempre quando fotografo che sento una musica nella testa. No. non sono pazzo. È che ognuno fa bene ad ascoltare le sue piccole voci di dentro. E io lo facccio quando volo sulle cime di queste montagne e sotto vedo tanti piccoli fiumi che corrono verso in basso e non possono fermarsi. È stato bello viaggiare qualche giorno in quel paese gentile e riportare indietro tante belle immagini. Spero di poterle mettere sul blog appena imparerò come si fà.

lunedì 7 aprile 2008

di ritorno dal marocco


Lancio questa nuova bottiglietta nell'oceano. Di ritorno dal marocco dopo appena quattro giorni mi sembra di essere tornato dalla luna alla terra. Sono partito per questo viagio breve ma significativo perché a vent'anni esatto da uno precedente, portando con me un'attrezzatura ben precisa: macchina pentax 6x7 e tubi di prolunga. L'intenzione era – ed è stato così – di fotografare un piccolo marocco, cioè da vicino e sentire il lieve respiro delle piastrelle, della polvere, delle code dei pesci al mercato.

martedì 1 aprile 2008

cominciamo questo blog

Ciao a tutti e tutte
mi è venuta voglia, dopo tanti anni, di cominciare a parlare con altri autori, fotografi e artisti sul ruolo e l'uso dell'arte nella nostra società a scopi sociali.
Non che l'arte al servizio della società sia una cosa nuova, ma non se ne parla più in questa soietà di artisti estetici he fuggono dalla contemporaneità.
Ci proviamo?

ico

www.icogasparri.net