martedì 14 dicembre 2010

Dal ginecologo con la borsetta

Siamo alle solite: mi trovo ad interpretare immagini pubblicitarie con ruoli femminili non essendo io femmina! Questa volta è complicato e, devo ammetterlo, non essendo mai stato dal ginecologo sono ignorante circa i comportamenti e le posizioni che una donna assume nel suo studio. Da alcuni film qualche idea me la sono fatta, ma non so se basta. In mancanza di esperienze personali, ricorro ad alcune materie cui ho dedicato molti anni di studio e, devo dire, con grande passione. Tra queste senz'altro la storia dell'arte e, scavando più all'interno, l'iconografia e l'iconologia. A proposito della prima, l'iconografia, essa ci insegna che per dipingere un presepe ci vogliono il bue, l'asinello, il bambino, la madonna ecc. Sì, sì, anche san giuseppe.
La seconda, l'iconologia, ci spiega il significato intrinseco delle varie componenti di una scena. Il bue significa mitezza, la pecorella docilità, il leone la forza, san giuseppe il padre... ecc. ecc.
Dal punto di vista iconografico, possiamo dire che questa nuova campagna d'inverno della ditta più aeroportuale della valigeria italiana non lascia dubbi: abbiamo solo due possibilità. O siamo di fronte a una giovane donna stesa su un lettino per farsi visitare dal ginecologo – come la posizione distesa, con le gambe sollevate e allargate lascerebbe presagire –, oppure sta per disporsi a un atto sessuale – come la posizione distesa, con le gambe sollevate e allargate lascerebbe presagire. Atto sessuale per il quale, tra l'altro, non si vede il partner e non sembrerebbe costituire un momento di grande attrazione per la ragazza, presentata con uno sguardo assente, distante, quasi artificiale. Diciamo una ragazza non partecipe. Sicuramente, non abbiamo elementi per sostenere, in base all'abitudine iconografica degli ultimi secoli, che si tratti di una donna che si distende per riposarsi sia perché la posizione appare piuttosto scomoda e precaria, sia per le scarpe tenute ai piedi – inclinati al limite della lussazione su tacco 13 – ancora calzate e ben puntate al suolo. In entrambi i casi casi probabili visti prima, la borsa non appare come un elemento iconografico significativo e viene perciò addirittura scartata dalla protagonista. Qualche dubbio permane su altri due elementi iconografici: il fiocco sul fianco della donna, che sembrerebbe alludere ad un pacco regalo, e la coroncina sulla testa che rimanda forse a un mondo fatato cui sembrerebbero alludere anche la grafica disegnata intorno e le stelline. Ma qui non abbiamo certezze. Occorrerebbe magari studiare l'intera campagna per capire di più.
Del tutto vaga è invece la ricostruzione iconologica più generale, la spiegazione dei segni contenuti, del messaggio, soprattutto se riferita al mondo pubblicitario nel quale il cartellone si inserisce a pieno titolo. Infatti, alla domanda: "cosa significa questa donna dal ginecologo su un cartellone?" non so rispondere. Alla domanda "perché ci va tenendosi la borsa? nemmeno e così via. Posso però chiedermi: perché per vendere una borsa – che per di più sembrerebbe essere abbandonata dalla protagonista e non conservata gelosamente – si fa distendere una modella a gambe allargate in questa posizione di offerta sessuale e/o ginecologica? Butto via i miei libri di storia dell'arte, qui non servono. Gli stiamo dando troppa importanza. Questi non si sono poste tutte queste domande: hanno solo cercato e trovato un modo per mortificare un'altra donna e tutte quelle che la guardano. Ma che strano! Proprio le donne che avrebbero dovuto comprare questa borsetta. Già! Avrebbero!!! 


Ico gasparri


13/12/10 Santa Lucia illuminaci tu


per Donne della realtà - palafitta n. 5

lunedì 6 dicembre 2010

Quando la pubblicità offre le risposte: Limoni 2

Basta avere pazienza. Già altre volte mi è capitato di vedere chiarito un mio dubbio – diciamo meglio un sospetto di sottintesi sessisti in una pubblicità – da parte della stessa azienda che aveva prodotto una prima campagna violenta e discriminante ma con un piccolo margine di incertezza. Il caso della ditta Limoni ha del meraviglioso: dopo la donna che si masturba dell'estate 2009 e quella nuda che mangia una palla dell'albero del natale 2009, per chiarire il loro pensiero in merito all'immagine della donna/cliente questa volta sono bastati solo 8 giorni dalla prima fotografia che ho scattato allo stesso megaimpianto il 22 novembre 2010 e il 1 dicembre quando la nuova mega-campagna viene a rafforzare il messaggio sessista della donna arrossata di rosso rossetto (palafitta n.3). Ora la donna viene presentata intera e completamente nuda in fattezze di bambola imbambolata, immobilizzata in una posa incomprensibile mentre si infila tra nastri rossi natalizi che la cingono come un grande pacco regalo. Per non smentire gli ultimi 60 anni di bigottismo ipocrita italico la nudità viene castigata all'altezza dei due capezzoli. Il capezzolo no! Vi mettiamo una donna nuda di 80 metri quadrati in Viale Tunisia a Milano per vendere trucchi e profumi ma il capezzolo non possiamo farvelo vedere. "Noi abbiamo rispetto per la donna", sembrerebbe di sentire nell'aria. La posizione inginocchiata sotto la scritta "annus splendidus" è incomprensibile come pure l'espressione estatica col dito indice dietro alla nuca. Non mi addentro in altre interpretazioni rocambolesche, mi limito perciò solo a segnalare questa modalità di rappresentazione alle donne che non avessero ancora deciso dove andare a farsi impacchettare come un bel regalo di Natale. Io, che donna non sono, l'avevo già deciso. Da un'altra parte.


Ico Gasparri


6 dicembre 2010


Palafitta n. 4 per Donne della realtà





mercoledì 24 novembre 2010

Arrossata di rosso rossetto

Ad averle seguite nel corso dei mesi, si può delineare una scia continua di sesso nelle pubblicità della ditta profumiera Limoni, attiva a Milano e forse altrove. Mi interessa poco o nulla dove siano attivi, certo non si fanno mancare niente. L'anno scorso i geni della comunicazione di questa catenella profumiera avevano finalmente sdoganato la masturbazione femminile in una campagna d'estate. Finalmente, anche le donne avevano il diritto di toccarsi sulla pubblicità. A pensarci bene... non "anche" le donne, ma "solo" le donne. Uomini che si mettono le mani nelle mutande io non ne ricordo. C'era, in quel caso, una bella ragazza (perché, si sa, per vendere profumi è meglio far masturbare una tipa bella che "una simpatica") intenta a "dedicarsi a se stessa" accompagnata da una scritta ambigua che indicava anche il prezzo, anzi meglio, lo sconto del 60% ben scritto in grande. 
Archiviata l'autosoddisfazione dell'estate 2009, questa volta l'azione è indirizzata verso la regina incontrastata della pubblicità stradale, la modalità più popolare di "impiego" delle donne per vendere prodotti, la fantasia più a buon mercato e più facilmente praticabile a vantaggio dei miei colleghi di genere maschile, il riferimento che tutti e tutte capiscono al volo: la fellatio, il sesso orale, i pompini. Chiamateli come volete, ma una serie troppo lunga di campagne pubblicitarie negli ultimi 20 anni ha insistito su questa modalità di penetrazione a senso unico (nel senso del piacere) tutta a vantaggio maschile, sia in termini di sollecitazioni erotiche, sia in termini di sottomissione femminile. Le bocche, le lingue, le labbra bagnate, aperte o socchiuse, con o senza il dito medio tra i denti, con o senza la lingua che spunta, sempre ben arrossate di rossetto rosso sono lì a suggerire continuamente penetrazioni orali. Ma qual è il senso? Da uomo mi chiedo cosa significhi tutto ciò. Perché? Se questi stanno cercando di vendere profumi, perché scomodano questo fantasma della bocca che succhia? Non poteva bastare il rosso sulle labbra per reclamizzare i rossetti? C'era bisogno di spalancare la bocca e indirizzarvici un fallo-rossetto in una posa così innaturale? 
Cerchiamo di leggere più da vicino questa immagine. Innanzitutto il contesto. Ci troviamo di fronte ad un magaposter sistemato su un costosissimo impianto che riveste la facciata di uno dei tanti palazzi milanesi abbandonati. Queste case per mesi ed anni accoglieranno le pubblicità in attesa che le holding finanziarie, titolari della ri/costruzione, si mettano al lavoro. È accaduto su monumenti pubblici (Porta Venezia e Porta Romana) figuriamoci se non accadrà su case private. In questo caso specifico, si tratta di un palazzo abbandonato da molti anni in viale Tunisia, già occupato dai migranti senza tetto e sgomberati alla milanese-maniera dalla polizia in assetto di guerra. Sono seguiti altri due o tre anni di incuria con facciate pericolosamente infiltrate dall'acqua piovana finché sono comparsi i ponteggi e una sistemazione pubblicitaria molto accurata. Da mesi va avanti così. Muratori, almeno dall'esterno, non se ne vedono e noi ci dobbiamo as/sorbire queste pubblicità invadenti e inquinanti.
Passando ai contenuti, si tratta di un annuncio alla popolazione del cambio di nome – e presumo cambio di proprietà, ma qui è irrilevante – di alcune profumerie che passano dal nome Garbo al nome Limoni. Si capisce che la faccenda dal punto di vista commerciale, per il consumatore, non rivesta alcuna importanza, abituati come siamo al turn-over di loghi, marche e sigle sulle vetrine per prodotti che restano identici. Ecco allora che per dare interesse a una notizia puramente finanziaria/imprenditoriale si scomoda lo stereotipo della donna stupida che, si sa, in pubblicità meglio non farlo mai mancare. Alla ragazza fotografata viene chiesto di assumere – di fronte a questo annuncio – un'espressione meravigliata, esagerata, sorpresa, strabiliata, quasi avessero annunciato un cambio al vertice del ministero dei beni culturali. La ragazza – alla quale gentilmente viene chiesto di presentarsi nuda all'annuncio perché, si sa, tutte le donne si truccano nude mentre ascoltano queste notizie alla radio o alla TV – spalanca la sua bocca mettendosi addirittura le mani ai lati del volto. A Napoli si sarebbe immaginata un'esclamazione del tipo " 'U Maronna miaaaa". Ma ritorniamo alla fellatio. Cosa aggiungiamo ad una donna così stupita? Una volta che l'abbiamo scelta bella, l'abbiamo truccata di tutto punto e sollevata sopra la media estetica delle donne italiane e le abbiamo aperto la bocca, appare scelta inevitabile chiederle di proiettare il suo rossetto rosso sangue verso il centro della stessa. Non verso le labbra, superiore o inferiore, come sarebbe stato più normale ed ergonomico: qui il rossetto punta diritto al centro, tenuto tra le dita col taglio dalla parte sbagliata come nessuna donna lo tiene mai e inclinato in modo innaturale, cioè puntato in bocca. Anche a me che non sono un maniaco sessuale e non ho pratica di applicazione di rossetti il messaggio giunge inequivocabile. 
Già! ma questo non è un cartellone concepito per suggerire acquisti agli uomini, bensì alle donne che, si sa, sono frequentatrici di profumerie più di noi uomini. Qui si apre la consueta voragine investigativa che riassumo col solito scioglilingua: perché per vendere alle donne prodotti femminili si usa una pubblicità basata su un linguaggio diretto ai peggiori istinti maschili?
Proprio qui sta il problema e la risposta, oltre che da questa, viene da centinaia di altre campagne che ho analizzato dal 1990 e riposa tutta sull'"autoreferenzialità collettiva mortificante", se posso dire così, cioè sull'idea che la donna attraverso queste sciagurate immagini possa crearsi giorno dopo giorno, pensiero dopo pensiero, una determinata idea di sé. Non esclusivamente con la pubblicità, è chiaro, ma anche e molto attraverso essa. Siamo entrati – e la pubblicità ce lo dice chiaramente (la mancanza di reazioni collettive ce lo dice ancora più chiaramente) – a piedi pari nell'epoca dell'accondiscendenza in cui, sui cartelloni e in tanti momenti della vita privata reale milioni di donne si autodispongono alla sottomissione e allo svilimento da parte degli uomini, convinte che questa sia la strada migliore. E in alcuni casi ne hanno le prove! È un discorso difficile questo, che molte donne non accettano perché credono di non accondiscendere, di non accettare mai e poi mai affronti del genere. Purtroppo questo è vero solo fino al momento fatidico in cui i propri mariti/compagni/figli tornano a casa e domandano perché non sia ancora pronto in tavola... 
Qui il discorso si allarga troppo e, soprattutto, esce dalle mie competenze specifiche. Allora ricomincio a riflettere e a sperare, torno alla pubblicità e mi chiedo: perché le donne – visti e considerati questi tristi argomenti – dovrebbero scegliere di fare acquisti presso questa catenella profumiera, in seguito a questa affissione gigante e mortificante? Già! In effetti, ma perché le donne dovrebbero farlo? 


Ico Gasparri 


24 novembre 2010


per Donne della realtà - Palafitta 3

domenica 7 novembre 2010

In una città che...

- in una città che... 

fino a ieri ti suonava se ti fermavi per far passare un'ambulanza all'incrocio

- in una città che... 

in tutto viale tunisia non si riesce a far rispettare un divieto di sosta a 100 metri dal comando dei vigili urbani

- in una città che... 

esiste ancora il caporalato in piazzale lotto la mattina alle cinque

- in una città che... 

spende 9 milioni di euro per sgomberare i ROM con le ruspe

- in una città che... 

costruisce grattacieli inutili per sentirsi importante e guadagnare milioni

- in una città che... 

persone che un tempo avrebbero fatto i parcheggiatori abusivi oggi fanno gli assessori...

stasera c'erano centinaia di persone in fila per entrare al teatro dal verme ad ascoltare giuliano pisapia e nichi vendola parlare di poesia, valori, democrazia, civiltà del lavoro anche quando era chiaro che i posti dentro al teatro sarebbero stati irragiungibili. 

- in una città come questa... 

io ci voglio riprovare!

SOSTENGO GIULIANO PISAPIA ALLA PRIMARIE, ALLE ELEZIONI E, SOPRATTUTTO, DOPO CHE SARA' STATO ELETTO SINDACO PERCHE' LE MACERIE CHE LASCERANNO GLI ALTRI SARANNO ALTE COME MONTAGNE. DENTRO E FUORI I NOSTRI CUORI.

venerdì 5 novembre 2010

La città è più sola

Mi è capitato quest'anno di perdere due persone care; due di quelle che davano alla città agonizzante ancora qualche speranza: Giovanni Quadrio Curzio e Nuccio Ambrosino.
Entrambi molto grandi e molto fuori dalle regole del "mondo che conta". Forse per questo avevano voluto essermi amici e di questo sono scosso, provo dei brividi che ora mi fanno sentire più solo. Due uomini non più giovani ma che non avevano bisogno di fare i giovani. Due maestri dai quali non ho fatto in tempo ad imparare proprio niente. Davanti al loro ricordo, così come davanti alle loro persone vive, resto fermo e muto, sapendo che ogni cosa che potrei dire sarebbe una stonatura. Eppure entrambi hanno fatto cose molto belle per me e prive di interessi personali, così come erano abituati nei confronti dei più giovani. Giovanni aveva avuto la faccia tosta di invitarmi alla grande mostra sulla Sicilia in mezzo ad altri fotografi di tutto il mondo molto più conosciuti di me, ma lui ci aveva creduto e il pubblico gli ha dato ragione. Come potrei non essere ammirato di tanto coraggio nel silenzio. Era un uomo che aveva creduto molto in me e non me ne devo dimenticare.
Nuccio mi ha regalato addirittura le riprese e la regia di una mia conferenza "storica" quella di presentazione del Protocollo contro la pubblicità sessista alla camera del lavoro il 6 maggio 2009. Con Nuccio eravamo stati più amici, più volte a tavola insieme e più spesso al bar a bere un caffè. Una volta mi ha invitato a vedere delle riprese dei giovani di Brera che lui esaltava più di ogni altra cosa. Eravamo in un capannone per girare e, in mezzo a tanti addetti ai lavori, si è girato verso di me e mi ha chiesto cosa ne pensassi. Ma cosa potevo pensarne io? era la prima volta che assistevo ad una ripresa dal vivo e non potevo pensare niente. È stato come se qualcuno mi regalasse un abito molto più grande della mia misura chiedendomi di espandermi fino a tendere le cuciture. Gli ho risposto che forse, ma forse, sarei riuscito ad imparare qualcosa, ma neanche di questo ero sicuro. E mi ricordo di un'altra volta che è venuto in un posto fuori milano. lontano, dove tenevo una lezione ad un pubblico di sconosciuti sul mestiere dell'artista sociale e lui si è seduto ad ascoltarmi come se fosse un ragazzino a scuola. Ho parlato malissimo, detto cose sconclusionate perché era fuori posto la sua sedia tra il pubblico. Per fortuna alla fine è intervenuto e ha demolito buona parte delle cose che avevo detto, dicendone di sue complesse, dirette, provocatorie, come sempre. Anche quella volta sono rimasto in silenzio ad imparare. E così rimane questa città morente senza due delle luci migliori. Buia e muta.  

lunedì 25 ottobre 2010

Il mortadello e la mortadella

Appare a tutti evidente che per pubblicizzare della mortadella nella metropolitana milanese occorra fotografare due consumatori nudi. L'intento qui è quello cercare di capire bene bene come sono presentati questi due consumatori.
Partiamo dalle proporzioni e dagli spazi.
Metà del manifesto è occupato dalle scritte del prodotto, una mortadella battezzata "Suprema Fiorucci" e definita "supernaturale". Entrambi concetti che sembrano riferirsi alla modella, scelta per apparire al tempo stesso "suprema" e "supernaturale". 
L'altra metà è occupata dai due consumatori, un uomo e una donna, appunto.
Fin dal primo sguardo si capisce che i due sono in intimità e nudi e questo – nel 2010 – non ci fa nessun effetto. Ma guardiamo meglio. L'uomo ha il ventre nascosto, non siamo certi che sotto sia nudo, ma la scena non sembra lasciare dubbi. La donna è invece certamente nuda e i suoi seni si vedono attraverso i sontuosi capelli sciolti. Quindi, agli occhi delle donne consumatrici sulla banchina sotterranea è precluso lo sguardo erotico sull'uomo, mentre agli uomini di passaggio viene offerto comunque qualcosa di "supernaturale" da sbirciare, mentre altro viene fatto immaginare al di là della curva del bacino della modella.
L'uomo sta dietro, la donna avanti.
L'uomo è in piedi, cioè in posizione potenzialmente dinamica. La donna seduta, "posata" su un piano rialzato.
L'uomo ride, la donna sorride.
L'uomo non ci guarda, la donna ci guarda.
L'uomo tocca la donna appoggiando il polso sul suo ginocchio e appena sfiora la gamba. La donna – anche in questa pubblicità – non tocca affatto l'uomo, nemmeno in zona panino.
Entrambi reggono una fetta di pane casereccio con un ricco strato di mortadella, appunto, incrociando le braccia come in un brindisi nuziale.
L'uomo non sembra corrispondere al tipo "macho" mentre la donne è sicuramente bella e seduttiva.
Le due mani sul pane sembrano entrambe le mani di una donna, si fa fatica ad un primo sguardo a capirne l'appartenenza. Diciamo che si è scelto di raffigurare un uomo giovane, piuttosto efebico, raffinato, delicato, anche se con una leggera barba incolta. Non ha traccia di peli sul petto, a dispetto della marea di capelli di lei e sembrerebbe più ragazzino, mentre lei ci guarda con aria più consapevole.
Siamo di fronte ad elementi discriminatori molto sottili, abilmente dissimulati dai pubblicitari, forse preoccupati di ripararsi un po' dalle critiche sempre più numerose sulla pubblicità violenta nei confronti dell'immagine della donna. Ci troviamo di fronte, tra un treno e l'altro, ad elementi che difficilmente solleveranno lo scalpore generale. La prova del nove – per decidere dentro di noi, in qualità di consumatori e cittadini bombardati dalla pubblicità stradale, se una pubblicità sia discriminante, violenta, irrispettosa o meno – è il semplice esercizio di trasformare le figure maschili e femminili nei loro opposti. In altri termini, mentre il nostro treno entra in stazione dobbiamo provare a chiederci perché i "creativi" di turno non abbiano fotografato per questa mordatella un uomo sicuramente nudo seduto in primo piano con una donna in piedi, dietro e non sicuramente nuda, con un uomo ammiccante ed esperto e una donna divertita e ragazzina ecc. ecc. Sottili o non sottili, gli elementi dell'analisi mi sembrano fugare ogni dubbio mentre salgo in carrozza. Questa è l'ennesima pubblicità sessista che sfrutta la rappresentazione sessuale della donna e non quella dell'uomo per vendere un prodotto che nulla ha a che vedere con la donna, la nudità, la coppia e nemmeno con l'uomo. Si tratta solamente del più basso anello della catena della produzione dei derivati suini che tenta una scalata del cosiddetto target e, probabilmente, del prezzo, rivestendo il tutto con un leggero alone di lusso visibile sulla fotografia. Insomma, la prova del nove mi autorizza a non acquistare più questa mortadella, nemmeno per una serata di sesso. E parto.
25 ottobre 2010

giovedì 23 settembre 2010

Il cetriolo e la vagina

"Non mettete mai nella vagina qualcosa che non mettereste anche in bocca". Recitava così una memorabile pagina del mio libro di auto-educazione sessuale "Noi e il nostro corpo" che leggevo, come milioni di altre mie coetanee e coetanei all'inizio degli anni '70.
La frase mi fece riflettere molto allora e molte altre volte nella mia vita mi è ritornata in mente, pur essendo io un uomo e quindi senza vagina.
Mi è ritornata in mente anche l'altro giorno mentre passavo per Piazza della Repubblica a Milano guardando questo cartellone pubblicitario della SISLEY. Come forse qualcuno sa, per due decenni mi sono dedicato allo studio in termini fotografici, artistici e comunicativi di questo medium, la cartellonistica pubblicitaria per le strade di Milano appunto, facendomi una qualche idea sulla pesantezza dell'impatto di queste immagini, soprattutto sul mondo delle adolescenti. Bene. A marzo del 2010 ho scattato la mia ultima foto di questa serie dal titolo "Chi è il maestro del lupo cattivo? e ho ultimato la ricerca, non perché non ne sentissi più il bisogno, ma perché sopraffatto dalla mancanza di fondi, dalla velocità dei pubblicitari e, diciamolo pure, dall'indifferenza delle donne, almeno dal punto di vista della massa delle donne italiane.
Ho pensato a quella frase anche se, in effetti, la scena in quanto tale (cioè tolta la marca della ditta dal quadro) non rappresentasse niente di strano ai miei occhi; in altre parole, lo dico più semplicemente non ho niente da eccepire e nessun giudizio da emettere se una ragazza utilizzi un cetriolo per procurarsi un'autogratificazione erotica. Semplicemente sono affari suoi!
La cosa che mi sembrava assurda era invece che quella foto fosse stata scattata per una pubblicità e quindi fosse, al tempo stesso, un veicolo di promozione di capi di abbigliamento ma anche un'ulteriore pietra per lastricare la strada della violenza sulla donna e diffondere modelli di comportamento – adolescenziali e non – che hanno buttato questa nazione nelle tenebre profonde.
Davanti a quel manifesto mi è venuto in mente anche un secondo pensiero unitamente alla voglia di riprendere la macchinetta-fotografica-digitale-a-costo-zero e fotografarlo: perché le mamme d'Italia non incendiano questi cartelloni? Almeno quelle che lottano per contribuire alla creazione di un'identità non assoggettata alle leggi di mercato delle proprie figlie? 
Ho scattato due foto senza molta voglia e sono andato via con questi due pensieri nella testa e un senso di sconfitta nel cuore.
23/9/10



lunedì 3 maggio 2010

Famà

Lo guardo andare via. Si allontana lentamente e mi accorgo che trascina sulla sue spalle una vita di sacrifici e di fatica. Mi appare per la prima volta come un uomo vecchio e mi rendo conto di non averlo mai visto camminare. L'avevo visto sempre seduto e da molto vicino. Oggi lo vedo per la prima volta da lontano, mentre si perde nella folla. Famà sta pensando certamente a quello che è successo fra di noi e custodisce nel taschino della sua camicia di lana a quadroni i 125 euro che gli abbiamo regalato. Io non penso a molto. Riesco solo a capire di aver fatto una cosa importante per tutti e due. Ci siamo ritrovati amici senza conoscerci. Io meno povero di lui e nella mia terra, circondato da decine di amici e persone care che fanno e potranno fare sempre qualcosa per me. Lui, invece, manderà quei soldi immediatamente alla moglie dicendole di non mangiare lei, ma di dare da mangiare ai bambini e alla sua vecchia madra. Capisco che dovrei strapparmi i vestiti di dosso e venderli per dargli tutto quello che posso. La mia situazione economica attuale varia tra i -6.000 e i -10.000 euro da restituire alla banca e alla carta di credito con prospettive di vendita delle mie opere assai dubbie. Forse lui, a conti fatti, è più ricco di me, o meglio meno povero. Ma estremamente più svantaggiato e solo. La voglia di stargli vicino è troppo forte: gli compriamo – Paola ed io – anche 4 collane per 25 euro e gli regaliamo un pacco di biscotti. Mi dice a testa basta che si sta vergognando. Io gli stringo il polso e lo prego di accettare per fare una mattina colazione con qualcosa di buono. Almeno ci saranno i biscotti.
Mentre si allontana con quella camminata che mi ha sorpreso per lentezza e fatica ripenso a come l'ho recuperato. Pensavo di non vederlo più e di non potergli consegnare quella piccola cifra che avevo destinato a lui. Sarebbe stata una cosa incredibile: aver bisogno di soldi e non sapere che qualcuno ti cerca per dartene.
Allah è grande gli ha detto l'altro mio amico Talat,  panettiere egiziano, quando lo ha visto per strada. Lo ha chiamato dalla panetteria che si trova accanto al primo negozio che ho avuto fino a 10 giorni fa, e gli ha chiesto il nome per attuare la mia richiesta di disperato contatto. 
- Come ti chiami? 
- Famà
- Allora va bene. Sei tu. Devi andare a questo indirizzo perché quel signore delle fotografie ha dei soldi per te. Ti aspetta, vuole farti un regalo.
- Ma non scherzare!
- Corri, Allah è grande. Ti aspetta. Vai oggi stesso.
Famà ha preso il bus e mi ha cercato. Gli ha creduto o forse ha creduto nell'idea che si era fatta di me.
L'ho visto dall'interno del nuovo negozio, mentre levigavo una cornice a mano. Si è fermato a guardarmi per essere sicuro che fossi io e poi si è messo sulla vetrina.
Gli sono corso incontro e l'ho abbracciato. La paura di non rivederlo è finita con un abbraccio al quale né lui né io eravamo abituati.
Si siede e prende senza chiedermela una caramella dal vassoio che teniamo per i clienti. Mi piace che si senta libero di farlo. Non trovo le parole migliori e apro il portafogli dicendogli che ho destinato a lui dei soldi da spedire alla famiglia. Dei soldi che alcuni amici avevano raccolto per una lotteria in cui ho messo in palio una mia fotografia. La spiegazione è troppo complessa per il suo italiano ma voglio assicurarmi che lui capisca che sono soldi che io avrei potuto non dargli. Voglio che senta la mia vicinanza. E voglio che capisca che io non sono una persona ricca. Quei soldi per me valgono tanto lo stesso. Non come per lui, ma valgono anche per me. Voglio fargli sentire che sono in quel momento suo fratello maggiore. Famà ha 46 anni, io 50.
La situazione è bizzarra perché io so che si tratta di 100 euro, lui no e non so cosa si aspetti.
Tiro fuori le due banconote da 50 insieme e gliele porgo senza riuscire a guardarlo negli occhi. Io ho più vergogna di lui. Vergogna per tutto il genere umano che si è ridotto a questo schifo. Vergogna perché mi racconta che proprio la mattina la moglie lo ha chiamato al cellulare per dirgli che non aveva più un soldo per sfamare i due ragazzini. Mi chiedo in che condizioni ci siamo ridotti se io devo aiutare uno disgraziato come me e quelli che potrebbero veramente aiutarlo girano la faccia.
Parliamo, parliamo. Cerco di sapere tutto quello che posso. Quanto guadagna un operaio in Senegal (mi dice 200 euro al mese); quanto costa l'affitto fuori Dakar e mi dice che costa anche 40 euro al mese. Cerco di capire per quanto tempo basteranno quei soldi. Ignoro tutto del suo mondo e mi avvilisco perché so bene che la sua vita e quella della sua famiglia sarà difficile sempre. Mi rincuoro quando mi racconta di un bravissimo vigile di San Benedetto del Tronto (dove lui lavora l'estate) che gli è amico e l'aiuta se si caccia nei guai o di una signora di Milano che una volta gli ha regalato 50 euro da mandare ai bambini. Per una città che costruisce grattacieli inutili mi sembra uno schifo. 
È passata oltre mezz'ora l'ufficio per spedire i soldi è ormai chiuso. Li spedirà domani mattina presto. Ora se ne va. Ci abbracciamo di nuovo e lo accompagno alla porta. Non so se lo rivedrò, ma credo di sì. Devo vendere le sue quattro collane e pagargli gli altri 15 euro! 






30/4/2010



mercoledì 28 aprile 2010

Le stagioni che finiscono






Quante stagioni finiscono e finisce anche questa, tra l'affetto degli amici sempre più numerosi che tornano e tornano e tornano e si aggiungono e mi danno qualcosa ogni volta di più.
Fra poco si chiuderà questa esperienza nel negozio di via carpi e probabilmente in questa via non tornerò mai più come mai ero venuto prima.
Cosa rimarrà nel mio cuore di tutta questa energia? Rimarrà il sorriso di quanti sono entrati qui e hanno goduto con me di queste mie creature minime e affettuose. Con me e con loro.


12/4/10

Gli artisti non devono fare politica
















Gli artisti (e qui intendo il mio modo di fare l'artista e di farlo con la macchina fotografica) non devono fare politica. Gli artisti devono stare più avanti della politica. Cominciare a fare politica significherebbe fermarsi, essere impantanati, dover spiegare quello che hanno visto a persone che non hanno voluto vederlo. E' giusto che essi si dedichino alla propria politica migliore che è l'invenzione. La visione della contemporaneità un minuto prima che accada compiutamente. Per poi raccontarla agli altri. E continuare da soli. Altrimenti finiscono per essere contaminati da fattori come il tempo, il compromesso, il calcolo, la necessaria convenienza che distruggono la loro poesia e l'emozione e la politica. 

martedì 2 febbraio 2010

Le note e il pentagramma


Le note e il pentagramma li abbiamo messi insieme senza nemmeno dircelo.
Siamo stati a sentire una musica che apparentemente nessuno di noi due stava suonando per un tempo tutto sommato breve. Ma guardandoci fuori dalla porta abbiamo capito che il tempo era stato brevissimo e abbiamo avuto un fremito di paura.
Ma di cosa abbiamo avuto paura? Eravamo due persone miti e lo sapevamo.
Abbiamo forse avuto paura della disabitudine e dell'estraneità che ci bagnano ogni secondo di questa vita. Ma noi due toccavamo con le mani degli oggetti che ci erano familiari e fraterni. Allora abbiamo smesso di aver paura e abbiamo suonato insieme.
Io le note e tu il pentagramma. O viceversa, non importa. ma ti prego non farmi scherzi! Non togliermi la carta da sotto alle note.