domenica 23 ottobre 2011

e le storie si raccontano

  È arrivato il momento di dare alle stampe questo libro che mi ha tenuto compagnia per tanti anni, in attesa di avere le sue piccole parole allineate nell'inchiostro. Domani mattina le avrà e finalmente mi potrò riposare. Sono arrivato alla fine di un lungo sforzo e non so se ci sono arrivato nelle  migliori condizioni e con il migliore prodotto. Importante è esserci arrivato e affidare ora agli altri che lo leggeranno questo mio lungo, travagliato, silenzioso, a volte doloroso, diario. Più di vent'anni impegnati per raccogliere un'idea di riflessione e di lotta civile, passando attraverso  vere e proprie epoche di questo sventurato paese al quale ormai poche cose ci tengono legati se non la retorica dell'esserci nati. Ho combattuto spesso da solo e ora sono felice di vedere che la stessa lotta è diventata patrimonio diffuso. Certo, non mi faccio alcuna illusione, questo patrimonio è ancora larghissimamente minoritario tra le donne e quasi del tutto assente tra i maschi italiani. Ma prima era ancora peggio, molto peggio. E so di aver contribuito a questo lento ma inesorabile risveglio delle coscienze. Non è stata una cosa da poco sentirsi utili. Non è stata una cosa insignificante ricevere tanti ringraziamenti, complimenti sinceri e semplici per aver condotto una così speciale campagna per i diritti civili. Le pagine saranno per molti versi un diario intimo, un racconto accorato e sincero del mio impegno e di quella che anche a me, vista dal dopo, sembra un'inusuale prova di determinazione e di resistenza. Ma ero fermamente convinto che quella cosa lì, cioè la raccolta meticolosa e continua delle immagini per strada, andasse fatta e andasse fatta bene e senza risparmiarsi. E io l'ho fatta così, al servizio delle sole mie convinzioni e della proiezione che nel lontano 1990 avevo fatto circa la deriva ormai sotto gli occhi dell'intero pianeta del nostro ridicolo paese. Gli stranieri ridono di noi, si chiedono cosa facciamo, perché siamo così. E noi fingiamo di non sentirli e continuiamo a credere di essere nel giusto. E io fotografavo, fotografavo, senza un sostegno né un piano ben preciso, senza una data d'arrivo prevista, senza risorse finanziarie, senza sponsor, senza aiuti. Sono semplicemente andato avanti lungo una strada che andava tracciata. Ora la strada c'è e tocca a tutti noi di percorrerla con uno spirito più intransigente e coraggioso. Basta con la leggerezza che ci ha ammorbato per tutti questi anni. Basta con l'accoglienza indiscriminata di idee e persone che non meritano di essere da noi considerate. Facciamo una bella pulizia dentro e fuori da noi e cerchiamo di immaginare un qualche futuro meno sciatto e mediocre. 
A voi non resta che sostenere questo mio lavoro perché l'ho fatto anche a nome vostro, rinunciando a molto per me. L'ho pubblicato senza un editore, perché tutti quelli a cui l'avevo sottoposto lo hanno rifiutato, ignorato, cestinato, perso. Allora me lo sono dovuto anche progettare, impaginare, correggere, stampare, pagare e vendere. Io ce l'ho messa tutta, adesso mi riposo un po' e aspetto gli ordini da parte vostra all'indirizzo ico.gasparri@ichome.it oppure info@ichome.it 
Il libro si "guarda" nella sua parte fotografica sul sito www.ilmaestrodellupocattivo.it
     

lunedì 4 luglio 2011

Ora non è ancora il momento: il viagra e la vagina di cemento.

Unisco nel titolo di questo post tre elementi che, tra gli altri, mi hanno sorpreso e preoccupato al convegno "Donne e non solo, contro gli stereotipi" cui ho assistito oggi 4 luglio 2011 a Milano, indetto da Pari o Dispare. Si presentava il "Manifesto" che varie aziende hanno già sottoscritto, impegnandosi a non produrre più campagne sessiste per reclamizzare i propri prodotti.
Cito a memoria.
1) Anna Maria Testa ci ha spiegato alcune cose già assai note sulla pubblicità sessista e poi ne ha mostrate tre che, secondo lei, erano esempi di buona pubblicità rispettosa. Qui il terreno si fa scivoloso. Già in Francia l'associazione Chiennes de garde aveva deciso, negli anni scorsi, di cancellare il premio per le migliori pubblicità rispettose verso la donna perché, interpretandole da altri punti di vista, decine e decine di persone si sentivano offese anche da quelle vincitrici. Il caso si ripete stamattina davanti almeno a due (per brevità) su tre esempi citati dalla Testa. Il primo è una campagna per il VIAGRA in cui si vede un omino disegnato come sulle etichette delle toilettes che ha tra le gambe un interruttore della corrente sollevato, quindi un pene in erezione. Forza appunto del viagra. L'uditorio ha riso. Nessuna ha pensato davvero su cosa stesse ridendo. Si tratta del farmaco che consente agli uomini, non solo ai vecchietti che non ce la fanno, ma ormai in maggioranza a ragazzi giovani e giovani uomini che non soffrono dell'ansia da prestazione – questo sarebbe già il sintomo di una precaria educazione alla relazione tra generi e all'affettività – ma che vogliono sentirsi gagliardi e tosti molto a lungo come nei film porno, in occasione dei loro incontri sessuali. Ma gagliardi e tosti con chi? Non certo con altri uomini, almeno non nella maggioranza. La pubblicità, a parere mio, è un pessimo esempio di machismo, di volgarità, camuffato con una trovata grafica senz'altro geniale. Quindi attenzione: quella erezione non ci avrebbe dovuto far ridere, ma urlare contro il rinnovarsi ammorbante della cultura del pene che tanta parte ha nello sviluppo della cultura della violenza sulla donna, che pure questa mattina è stata più volte richiamata.
2) Il secondo caso, sempre presentato dalla Testa, è quello della pubblicità Tampax. La scena rappresenta una fotografia aerea in cui campeggia al centro una grandissima diga in cemento armato e, a monte, un magnifico lago blu. Anche qui sorrisi e consensi. Io, invece, rivendico il diritto di dissociarmi, di avere una visione meno allegra del problema e di mettere in risalto alcuni elementi che ritengo inquietanti. Se quella è una pubblicità della Tampax, azienda che produce assorbenti, come tutti sappiamo dalla più tenera età, quel lago immenso è sangue mestruale e la diga una vagina. Le montagne intorno, a pensarci bene, sono due gambe orribilmente allargate. Io inseguo da 35 anni la rappresentazione simbolica nella fotografia d'arte astratta e non faccio fatica a riconoscere questi segni, ma credo che questo scenario simbolico fosse davvero alla portata di tutte. La risata inopportuna sul sangue blu andrebbe allora spiegata alle ragazzine che hanno vergogna e paura del primo mestruo, alle donne che si sentono a disagio, sporche e inadeguate durante il ciclo. E noi che facciamo? Lo trasformiamo addirittura in un lago, in una massa gigantesca di fluidi che dovranno passare per quella diga/vagina in cemento armato. Anche in questo caso l'esempio mi appare quanto meno inadeguato e chiederei maggiore lentezza e riflessione nel presentare soprattutto i casi che riteniamo positivi, perché rischiamo di approvare interi filoni di rappresentazione.
3) L'associazione Pari o Dispare ha ricevuto l'adesione di 40 aziende che hanno sottoscritto l'appello. Una di queste, Ampliphon, ha presentato in sala uno spot che ha registrato l'approvazione implicita del consesso presente. Cito a memoria, proprio per capire cosa mi sia rimasto in mente delle scene viste. L'azione di svolge in discoteca, non una di quella per giovani scatenati ma una sala per adulti, seduti al tavolo ad ascoltare un gruppo musicale. Appunto, la prima inquadratura è significativamente dedicata alla cantante del gruppo che sfoggia un tubino nero molto aderente e si dimena sul palco, tra musicisti uomini. Si passa poi al primo piano in cui vediamo un uomo con una camicia piuttosto sciatta e spettinato che parla ad una donna ben vestita, presentata con la testa tutta chiusa in una gigantesca bolla di sapone. Lei non sente bene, in quanto appunto ipoudente, e lui, l'uomo, le racconta come può risolvere un problema da lui già risolto. Si vede allora l'uomo, questa volta elegantemente vestito (il rispetto per il cliente!), che entra in un negozio Ampliphon, accolto da una venditrice donna che gli calza con mani dolci l'apparecchio sulle orecchie. Poi c'è la scena di lei che fa la stessa cosa ed esce contenta dal negozio. Ebbene, vediamo cosa non mi è piaciuto. La donna che canta sinuosa sul palco: inutile l'inquadratura e si poteva sostituire con un cantante uomo o con un gruppo interamente femminile, vestito più rock e meno seducente. L'uomo sa qualcosa che la donna non sa. Pessimo esempio di machismo. La donna è sempre indietro, non sa niente, ha una bolla di sapone in testa, e ha bisogno dell'uomo che le dia i consigli per risolvere un problema così importante. Si potevano usare: 1) un uomo che consigliava un altro uomo (anche se stiamo parlando della versione femminile dello spot, quella maschile non ce l'hanno mostrata) 2) una donna che consigliava la donna 3) una donna che consigliava un uomo. La scelta, la più maschilista, era proprio la quarta: l'uomo che consiglia una donna. Quando poi c'è da "prendersi cura", ecco apparire la donna commessa che sistema con mani dolci e suadenti l'apparecchio sull'orecchio dell'uomo/cliente. La scena analoga, cioè quella delle mani della donna commessa che sistemano l'apparecchio sull'orecchio della donna non si vede. Questi piccoli segni sono certamente scappati di mano ai creativi, ma occorrerà che per il futuro tutte queste sbavature siano limate per rimanere nel club delle aziende rispettose senza destare fastidi nel pubblico/cliente.
4) Concludo con una cosa più grave, chiedendo scusa in anticipo all'interessata se per caso io non abbia capito bene quanto ha detto. Sto parlando della direttrice generale dell'UPA (che però preferisce farsi chiamare Direttore Generale) che ci ha raccontato un episodio dai contorni assai preoccupanti: l'UPA organizza ogni anno un master in comunicazione pubblicitaria a Venezia per il quale hanno a disposizione 30 posti. Ricevono mediamente 100 domande da candidati e 100 da candidate, quindi la selezione è abbastanza dura. Dopo aver espresso ancora una volta le lodi delle ragazze che sono più brave a scuola e nei concorsi e lamentato ancora una volta la loro difficoltà nell'emergere nel mondo del lavoro, ci ha candidamente dichiarato (e qui vorrei una conferma) che una volta scrutinati i compiti e i test il risultato vorrebbe vincitrici 70 donne e 30 uomini ma.... Colpo di scena! In nome di non si sa bene cosa, le graduatorie vengono "riconsiderate" e il numero dei vincitori messo "a pari opportunità": 15 e 15. Non so se ho capito bene ma finora me la sono cavata con le orecchie.
Tutto questo per dire che il terreno della comunicazione pubblicitaria non è cosa semplice e che il confronto va fatto con quelli che sono più "estremi" di noi, non con coloro che ci rassicurano sulle nostre tesi. Il sessismo è un animale infido e la sua tolleranza inconscia da parte delle donne, anche di quelle progressiste, è un atteggiamento ancora troppo diffuso per sperare in risultati concreti. Mi piacerebbe che tutte esagerassero un po', per un periodo iniziale, nel segno del rispetto massimo di tutte le persone che potrebbero essere urtate dalle campagne, specialmente quelle stradali che sono a fruizione obbligatoria. Mi piacerebbe allora che Emma Bonino, per me una luce nel panorama politico, ma anche umano, del paese, usasse tutta la sua forza comunicativa per alzare il livello dell'analisi e chiedere a tutte di non accontentarsi di letture "morbide". Le aziende che vorranno firmare l'ottimo manifesto dovranno dare veramente prova di essere severe ed esigenti verso se stesse. Solo allora potremo cominciare a sorridere. Ora non è ancora il momento.

Ico Gasparri
4 luglio 2011

lunedì 27 giugno 2011

Concita De Gregorio e Rosy Bindi: due richieste di dimissioni a confronto


Premessa: per discutere di alcuni argomenti occorre procedere con molta calma e cercare di spiegarsi bene. L'argomento cui sto alludendo non è la denuncia delle due pubblicità sessiste in oggetto – che per me è chiara, decisa, necessaria, tardiva e sempre troppo morbida – ma la scelta da parte mia di chiedere a due persone che occupano posizioni ben al di sopra del mio statuto di semplice cittadino di lasciare le proprie responsabilità, non avendo, è evidente, nessun poter io per chiedere loro di ascoltarmi.
Stiamo parlando addirittura della direttrice (ora ex) di quello che da giovane è stato uno dei miei giornali di riferimento e della presidentessa di quello che prima del deragliamento fu il mio partito. Ambizioni troppo alte? Mi permetto di rispondere di no. È proprio al singolo cittadino o alla singola cittadina che deve essere demandato questo compito arduo di chieder conto direttamente ai dirigenti di giornali e partiti delle loro azioni. Noi non abbiamo potere, loro sì, ecco perché siamo da ascoltare. Noi "semplici" non abbiamo niente da difendere, non abbiamo interessi derivanti da queste dimissioni: io non voglio diventare direttore dell'Unità e men che meno presidente di questo PD. 
In che cosa hanno sbagliato queste due donne? 
Innanzitutto, non si sono guardate intorno. Questo è gravissimo. In un contesto sociale sbilanciato a sfavore delle donne e in rapida evoluzione come il nostro, in cui la deriva maschilista governata dal manipolo Berlusconi-La Russa- Calderoli-Bossi-ecc-ecc ha toccato vertici drammatici, ogni starnuto, ogni battito di ciglia, ogni piccolo segno da parte delle donne al potere (e ovviamente anche dagli uomini al potere) deve essere attentamente studiato per cancellare ogni possibile similitudine con l'impero del machismo italiano. Altro che vento che cambia, qui ci vuole un uragano in senso contrario. Altro che minigonne svolazzanti, cosce di fuori, culi in primo piano, testa mozzata, altro che ammiccamenti, citazioni di film e ironie varie. Occorre aprire gli occhi e non commettere nemmeno un passettino falso.
Secondo errore. Una volta uscite le pubblicità e sollevato il clamore delle "semplici" cittadine e dei "semplici" cittadini (addirittura), le due donne hanno entrambe sostenuto un'improbabile linea di difesa e di minimizzazione, come se le persone indignate fossero delle anime stupide e non avessero in mente alcuna strategia di comunicazione in proposito. Una donna (o un uomo) al potere deve saper riconoscere i propri errori e ammetterli con modestia e umiltà. Anche dalla modalità e dal contenuto della risposta – più o meno fuori luogo – dipende la pertinenza della mia richiesta delle dimissioni. La prima donna – che aveva inoltre affidato la campagna a un recente campione di sessismo pubblicitario, autore di altre campagne contestatissime prima e dopo –  si difese malissimo, citando Gramsci (!!!) e affermando che il sedere in questione fosse il suo, come se questo avesse potuto migliorare le cose. La seconda ci ha spiegato che la differenza di opinioni è una cosa bella, così tutte insieme ci ritroviamo per un bel dibattito sul tema. 
Ecco perché chiederei nuovamente le loro dimissioni. Perché nessuna delle due ha proposto un rimedio e nessuna delle due si è scusata. 


Ico Gasparri
27 GIUGNO 2011


palafitta n. 7
per Donne della realtà

venerdì 8 aprile 2011

A Giuliano Pisapia da Odisseo


Caro Giuliano,
ieri sera abbiamo letto Omero pensando che questo fosse un modo utile per sostenere la tua campagna, la nostra campagna, elettorale.
Amiche e amici, simpatizzanti, compagne e compagni sono entrati nei 15,75 mq di ICHOME, il mio negozio di frontiera, cioè per una fotografia contemporanea sociale e sostenibile, per sentire questi versi antichi che parlavano di viaggio, di naufragio, ma anche di amore, di ritorno e di vittoria.
Ci siamo alternati nella lettura dei versi e una grande energia è circolata tra di noi. Tutti sicuramente stavano pensando che anche dalla cultura rinasce una città così avvilita come la nostra dove, tuttavia, potenti forze resistono allo schiacciamento e sono ancora fresche e pronte a ripartire. 
Il tema che ho scelto per la nostra serata è stato quello dello straniero e del nostro sguardo sulle migrazioni, sull'accoglienza e sulla fraternità. Questi, credo di poter interpretare il pensiero i tutte e tutti, erano i battiti del nostro cuore ieri sera e all'unisono sono volati al pensiero che sarebbe bellissimo poter tornare a vivere fuori da queste tenebre, allargando il nostro orizzonte ai valori intramontabili che la cultura e l'arte ci trasmettono.
Noi ci siamo e ci saremo, soprattutto dopo, quando occorrerà ricostruire. Ma, per fortuna, noi non dobbiamo improvvisare.
Un abbraccio fraterno

Ico Gasparri

artista sociale e fotografo

Milano 8/4/2011

venerdì 21 gennaio 2011

La casa e l'appuntamento

NAPOLI 2011
NAPOLI 2006
Sopra le campane per la raccolta differenziata a Napoli campeggia la pubblicità di una casa d'appuntamento. Mi fermo e mi chiedo cosa ci faccia proprio lì questa improbabile reclame d'altri tempi: sulla spazzatura avviata virtuosamente alla differenziazione, tra un miracolo e l'altro. Le case d'appuntamento sono state chiuse esattamente nell'anno in cui io sono nato, il 1959, come mai si ricordano di pubblicizzarne una a Natale del 2010? Mi domando se mai potrebbe trattarsi di altro, magari della pubblicità di ragazze che lavorano presso la residenza lussuosa di qualcuno, tipo quelle ville francesi dove erano ambientati i romanzi erotici del secolo scorso. O italiane. Non si capisce. La scritta che campeggia sotto sembra piuttosto giapponese: Yamamay ed è addirittura palindroma, cioè potere leggerla correttamente sia che stiate andando a fare la spesa, sia che stiate tornando a casa. Magari si tratta di ragazze manga! Va bè, basta ironia, la cosa ha preso una brutta piega. Siamo alle solite. Il filone porno nella pubblicità ha conquistato la scena e campeggia sulle nostre strade, questa volta nella variante che non sembra opinabile "gruppo di ragazze brille o ubriache esposte su un lussuoso divano di un bordello in attesa dei clienti". Come si è visto in precedenza, per l'esattezza in una campagna minore del 2006 che fotografai su un cartellone all'aeroporto di Napoli, ci si offre spesso un terzetto con almeno una donna bionda: una non può bastare e nemmeno due, ci vuole la varietà della merce. Lì si vendevano stivali a buon mercato, qui, sempre a buon mercato si vendono mutande e reggiseni, ma c'è tutto un altro lusso. Biancheria luccicante, bellezze gelide, divano di raso rosso, sguardi assenti, disponibilità quasi asettica. Negli anni scorsi la stessa casa di lingerie pseudo manga-nippo-palidroma ce ne ha fatte vedere di tutti i colori in quanto a figure di donne slanciate in ogni posizione pur di vendere a donne molto meno atletiche e acrobatiche mutande da pochi euro. Mi pare brutto assai dire "ve l'avevo detto io nel 1990"... ma le cronache degli ultimi anni ci dicono che questo genere di messaggio pubblicitario è entrato – insieme a tanti altri insegnamenti reali – nel cuore delle ragazze che nascevano agli inizi degli anni '90, allattate a pane e pubblicità puttanizia. Abbiamo troppo a lungo fatto finta di non vedere, di non capire, di non allarmarci. Ora non c'è più tempo da perdere: occorre cambiare modo di fare la spesa, di carote, di mele, di pere e anche di mutande. Sia che stiate andando a fare la spesa, sia che stiate tornando a casa non lo date l'appuntamento a queste mutande e ditelo alle vostre ragazze di guardare bene questi manifesti prima di decidere che biancheria acquistare. Questa casa e questo appuntamento non sono cose per noi.


20 gennaio 2001
Ico Gasparri


Palafitta n. 6 per il Blog Donne della Realtà