mercoledì 27 maggio 2009

Con il silenzio negli occhi



Dedicato a Graziella Allegri
(dall'introduzione del libro Yangtze river. Il fiume azzurro della Grande Cina)

Seguire le tracce di una  “viaggiatrice d’animo” come Graziella Allegri è un’operazione di difficile e di esito incerto. Tutti noi possiamo comprendere facilmente il valore della mirabile documentazione fotografica riportata da numerosi viaggi in paesi lontani e sconosciuti alla maggioranza dei comuni viaggiatori. Così come possiamo apprezzare la piacevolezza di un racconto scritto in tono non accademico e accessibile ad ognuno. Tuttavia, anche quando avremo compreso questi due elementi “editoriali” saremo ancora nella più totale e superficiale cecità. Muoversi tra le pagine di viaggio di Graziella richiede una dedizione particolare, un silenzio interiore al quale sempre meno siamo abituati. Unire il documento fotografico e il racconto non basta: dobbiamo riuscire a sentire anche noi il battito del cuore e il respiro dell’autrice e vibrare della stessa febbre di conoscenza e di solidarietà che ha spinto lei su e giù per le montagne dell’Asia. 
Possiamo farcela, ma a un patto: chiudere fuori dalla porta il rumore, la fretta, l’egoismo e la sfiducia e lasciarli fuori per tutto il tempo necessario a godere di questo libro e percepirne la musica.
Ecco allora che queste piantagioni di verde mais, questi Buddha enormi si misceleranno magicamente alle delicate sagome delle donne Miao e dei multicolori abiti tradizionali dei bambini, rispettando quel silenzio che per millenni le ha viste convivere fino all’avvento dei rumori della modernità.
Proprio questo è il segreto della nostra amica perennemente con lo zaino in spalle. Viaggiare in un silenzio interiore carico di amore e curiosità. In punta di piedi e con il massimo rispetto per l’ambiente, le popolazioni, gli animali, seguendo questo grande, potente, inesauribile Fiume Azzurro, ricco di acque a volte fangose ma animatore di un fluire ininterrotto di dinastie, epopee e milioni, miliardi, di semplici storie personali. 
Scrivere la storia di un fiume è un fatto bizzarro perché il fiume è in effetti un’entità geografica “a mutazione immediata”: le sue acque sono condannate ad abbandonarci sempre, non restano mai con noi, animate da questa attrazione fatale con il mare. Graziella invece ha saputo raccontarci momenti di struggente poesia in cui queste acque diventano soggetto immobile contravvenendo a tutte le regole della fisica terrestre ma non a quelle della poesia. I versi sono rive incostanti, fili d’erba che galleggiano, bambini che giocano con i piedi bagnati. Un mondo di endecasillabi appassionati che pochi hanno visto e pochi in futuro vedranno. La Allegri è innanzitutto autrice ecologista, convinta sostenitrice della salvaguardia del pianeta e dei suoi abitanti. Non a caso ha fatto della sua vita un esercizio continuo di “scienza altruistica”. Dalle formule della farmacologia ai cartelli con la scritta perentoria e impressionante “175” che vediamo in queste pagine il percorso è speciale e non scontato. Quel numero piantato sulle rive scoscese indica la quota fino alla quale tutto sarà sommerso dalle acque, una volta che la grande diga avrà cominciato a fermarle e farle lievitare. Addio ai campi sulle rive, alle foreste cadenti sulla schiuma dei gorghi. Molto sarà sommerso e non lo vedremo più.
Si capisce così l’importanza di avere tra le mani un libro così, in cui si racconta una storia che ancora non è accaduta ma che fra qualche decennio si rischia di non sapere nemmeno più che sia accaduta. Lei l’ha fermata sulla pellicola, l’ha raccontata e ce la consegna. Noi abbiamo il dovere e il piacere di far silenzio nei nostri occhi e guardare insieme a lei.
Come in una sinfonia prima dolce poi maestosa il nostro occhio scorre dalle pagine bianche di neve e di pastori fino all’assordante rumore delle acque della diga e delle potenti macchine che l’hanno costruita. Poi, magicamente, ritornerà il silenzio e ci troveremo a ripensare al nostro destino di uomini e di donne, ma con animo più leggero. 

Ico Gasparri 

martedì 26 maggio 2009

Fuori dalla tua porta ci siamo anche noi




La ragazza ha un accento del sud sembra più giovane ma ha 36 anni.
Al secondo tentativo dopo una riunione e vari impegni urgenti risponde al telefono con lunghi silenzi e mi pare imbarazzata appena capisce il contenuto della conversazione. Si scusa per il rumore dell'ufficio che io non sento.
Anche lei deve lavorare in un cosiddetto open space in cui tutti sentono tutto e non mi sembra a suo agio.
Le dico che sono un ricercatore che vuole porle delle domande su una campagna pubblicitaria di cui lei risulta essere l'"art", cioè la responsabile della "creatività".
Povera creatura mi sembra un'operaia cinese in una manifattura sfruttata dagli occidentali.
ha ragionato finora solo con la testa dei suoi padroni e non capisce bene le domande.
Non è stupida ma non è abituata a guardare fuori dalla finestra.
Cosa c'è fuori dalla tua porta? Ci siamo noi, quei milioni di persone che non la pensano come te, anzi che pensano con una testa libera e non sono costretti ad inventarsi risposte incredibili.
Mi parla di cose che conosco ma che riconosco fuori misura: target, immagine del prodotto giovanile, responsabilità di altri, campagna nata per un motivo poi finita sui muri della città perché gli hanno quasi regalato 600 spazi – dico 600 – in tre mesi perché nessuno li vuole più; mi parla di acqua cosmetica, funzionale, che in ufficio la bevono e fanno tanta pipì. Le chiedo se ha mai provato con altra acqua ma non sembra cogliere. Dice che io insinuo, che le dispiacerebbe se la sua campagna finisse in un elenco di pubblicità discriminanti perché loro, anzi, vogliono che le donne si sentano bene nel loro corpo per piacere. Se l'avessi avuta avanti con una mezz'ora di tempo a disposizione, magari le avrei chiesto "per piacere a chi? e "per farsi fare che cosa dopo essere piaciuta?"
Mi conferma candida che le tre foto sono state scattate per evidenziare quei punti che creano più problemi alle donne: cosce, seni, glutei, girovita. Ecco allora perché c'è una donna a sedere in su, una sul fianco e una seduta.
Si ma distese e sedute dove?
Lei lo chiama "appendino"
noi al sud la chiamiamo "stampella per i panni". 
In questa drammatica pubblicità si consuma a chiare lettere una rottura, diciamolo pure una "dicotomia iconografico/logica", (Miiiiiiiiiiiiiiii) in cui il corpo e la donna prendono ufficialmente due strade diverse. Il corpo diventa un abito, anzi "l'abito più bello e perfetto che una donna possa indossare" Parola sua. E della donna cosa rimane? Un'anima? sì ma scontenta finché non avrà indossato il vestito più bello. ma per indossarlo deve prima fare prima tanta pipì. Ma questa pipì da dove scorre se il corpo non c'è?
Rinuncio a girare il coltello nella piaga.
O forse il corpo perfetto si deve indossare sopra quello con la cellulite? Non lo sapremo mai. Come una tuta di superman. 
la sensazione che altre volte avevo notata, coperta sotto un velo di cattiva fede, questa volta ha un sapore diverso. Questa ragazza non è in cattiva fede. Lei ci crede davvero. Non si pone nessuna domanda perché crede che non ci siano domande da porsi. Fuori dalla sua porta ci sono animali fantastici e semitrasparenti, mal identificati e mitizzati. Tanto, nessuno farà mai veramente dei controlli sull'efficacia delle sue strategie. Poi un giorno le aziende chiudono e si parla di crisi.
Fuori dalla sua porta ci sono schemi preconfezionati lontani anni luce dalla mia visione dei fatti. Il dies irae di Mozart mi tiene compagnia ora che ci penso e capisco quanto abbiamo fatto male a stare zitti in questi 30 anni. Potremmo non farcela a rimettere questo paese in piedi. Giace coricato su cumuli si idiozie e di imbrogli. 
Le dico poi che ho intervistato oltre 50 persone sotto i tabelloni della sua "acqua funzionale" e nessuno aveva apprezzato il messaggio. Molti nemmeno avevano capito che fosse acqua da bere. Obietta che ho intervistato male, che non ho centrato il target, che ho posto le domande male perchè i giornalisti pongono le domande in modo tale da influenzare le risposte. Le dico di nuovo che non sono un giornalista ma un ricercatore e allora ricomincia che le dispiace che io abbia preso questa cantonata. Che quella pubblicità era destinata solo al target delle giovani donne.
Le chiedo allora perchè non hanno inviato a casa del target un foglietto con la pubblicità (magari col servizio posta target....)  e hanno tappezzato e tappezzeranno la città con 600 manifesti 6x3.
Mi arrendo. lei non mi chiede nemmeno come mi chiami e richiude la porta cacciando l'unicorno nel corridoio degli ascensori. Con un'aria un tantino infastidita.
Torna ad abbracciare il suo target sicura e io ripenso a come deve essere stato doloroso per mozart capire di morire senza aver ultimato la musica per il suo funerale, fermandosi proprio ai versi del Confutatis "Oro supplex et acclinis, cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis.". Chissà se mozart scriveva per un target.

Cara Francesca gentile e forte


Cara la mia amica Francesca gentile e forte
ti ringrazio per essere così vicina all'attività del protocollo che, lo sai, non è una battaglia mia ma una lotta per costruire l'italia di dopo. 
Sì l'italia di dopo, quella che ora ci manca e che pochi stanno cominciando a costruire
la diffidenza è tanta e l'affratellamento spontaneo pure
un mondo molto diviso tra quelli che sono indietro e noi che vaghiamo avanti senza una bussola ma lontani e isolati
perchè ti dico queste cose non lo so bene
ma sento che più che mai stiamo vivendo un periodo dai confini pochi netti che nelle nostre mani prenderà forma
ma le mani ci scotteranno perchè le funi cominceranno a tirare forte e ci sfuggiranno dentro le dita.
allora chiameremo le amiche e gli amici chiedendo loro di tenere forte e di riportare questo battello pieno di naufraghi a riva
naufraghi ma vivi
ecco come arriveremo
ti abbraccio forte e gentile
ico