lunedì 20 aprile 2009

Volare Chopin


È così che Chopin mi è entrato in testa. Capita, a volte, che non abbiamo avuto l'occasione giusta nella vita per capire qualcosa che pure era lì da decenni, a volte da secoli. Fotografare il Giardino della Minerva era per me un'esperienza impossibile: troppo più importante di me. Allora ho pensato di raccontarlo ad occhi chiusi. Per quanto possa sembrare assurdo mi muovo nel Giardino per fotografarlo ad occhi chiusi. So che ogni fotografia sarà sbagliata. Non ce la posso fare! E non per mancanza di fiducia in me stesso ma per una evidente differenza di scala. Io non so niente di questi uomini che hanno creato questa meraviglia. Non ci siamo guardati negli occhi e non so cosa pensavano esattamente. Posso immaginare la finalità del loro operare caparbio, della ricerca spasmodica del seme introvabile, ma niente di più. Come queste note di pianoforte che entrano ed escono dalle mie orecchie accompagnate da contributi di altri inutili strumenti, io attraverso le aiuole sfidando l'ignoranza. Mi muovo a tratti e inciampo nei profumi e nella semplicità disarmante delle piante. Più sono piccole forse, più sono utili. Noi che abbiamo tutti e quattro i piedi in questo mondo di superficie e velocità non sappiamo cosa ci vorrebbero dire. Così mi siedo, quasi mi inginocchio, di fronte alle piante di timo, maggiorana, melissa e chiedo loro di aiutarmi. Per carità! Aiuto! Trasformare una piantina ricca di valore ma bruttarella in un'opera d'arte è per me sempre un'impresa disperata. È per questo che mi siedo. Mi siedo e aspetto. Aspetto un aiuto che alla fine sempre viene e mi stupisce. Il motivo era lì e io non lo vedevo. Non lo sentivo. Poi arriva questo Chopin tanto abusato che mi solleva da terra e mi fa volteggiare sopra le piante e tutto si sistema. Come faccio a spiegare l'emozione della musica che si trasforma in fotografia? Un giardino sospeso su una città che gira inconsapevole di tanta meraviglia, inondato dalle note di un piano che si diffondono tra una rosa canina e un cespuglio capriccioso di asparago. I notturni così famosi diventano per me musiche nuove dal profumo di menta e mela cotogna. Mi apposto, giro intorno, a tratti sono disteso per terra e sono così ridicolo che Bianca mi fotografa a sua volta. Che presunzione la fotografia! Tagliare un quadratino di universo e pretendere che gli altri provino delle emozioni! Ma io avevo il loro lasciapassare. Capelvenere e papiri avevano emesso il loro verdetto: potevo continuare. Allora su e giù per le terrazze, girando attorno al più bel ciliegio che avessi mai visto, in fiore fino all'ultimo ramo in quel giorno della pasqua al mezzo di aprile, direi quasi raggi invece di rami. L'unica immagine che mi venisse in mente da paragonargli erano gli alberi fantastici che aiutano Harry Potter nel film numero non so che cominciano a muoversi e lottare per il bene contro il male. In effetti anche queste mie immagini poverelle sono una lotta. Una tentativo di rallentare il mondo che ha preso a girare troppo veloce. È per questo che ho scelto di fotografare questo giardino come luogo massimo di contraddizione del pianeta. Le piante che hanno bisogno di tempi della natura e l'uomo che uccide ogni giorno la natura e se ne fa beffa. Sappiamo che è così ma inspiegabilmente voltiamo lo sguardo. Sappiamo che così finirà male ma sappiamo che non sarà per noi, ma per i nostri figli o nipoti e schiacciamo l'acceleratore. Bel regalo che ti faccio figlia mia! Allora mi concentro e cerco di non sbagliare il tagli, l'esposizione, la profondità per capire dove cominciano le piantine e dove finisce l'acqua per il riflesso. Che agitazione quando mi trovo di fronte a un piccolo fiore raro che cresce sopra la fontana e il sole sta girando troppo velocemente. Riesco a riprenderlo prima che sia troppo tardi. Mi guarda e sorride, mi fa capire che ha chiesto una piccola deroga per me. Per qualche secondo anche il sole si è fermato. Me ne salgo sulle scale contento e passo ai limoni con la fontana a stella di sapore molto antico e un piccolo albero di pruno che mi piace da vedere ma non riesco a fotografare bene e lo lascio in pace. Quando finisco trovo il tempo per sedermi ancora e guardare la chiesa dell'Annunziata e il porto dove sbarcano merci di altre epoche rispetto alle piantine mie e me ne vado con il cuore in pace lasciando a Chopin il compito di chiudere la porta.