mercoledì 18 febbraio 2015

Famà che torna in Africa


Il 3 maggio 2010 ho postato un testo dal titolo Famà http://icofotografico.blogspot.it/2010/05/fama.html in cui raccontavo un episodio della mia vita che mi ha regalato una grande felicità. Era l'incontro con un uomo venuto da lontano, dal Senegal, che da allora è diventato uno dei miei più grandi amici.
Oggi scrivo di nuovo di lui perché questa mattina è successa una cosa tremenda che da tempo sentivo e temevo: mi ha chiamato al cellulare, con voce triste, dicendomi che aveva deciso di tornare in Africa. Per la prima volta gli ho sentito pronunciare questo nome geografico; le altre volte aveva sempre detto Senegal. Non so perché lo abbia fatto, forse perché la sua grande terra lo sta chiamando per salvarlo dalla nostra e lui le rende un tributo ancestrale, antico come le lacrime che gli bagnavano gli occhi di mogano stamattina davanti alla farmacia di via Maiocchi. Già altre volte mi aveva detto che avrebbe voluto tornare, ma che lo avrebbe fatto solo dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno, in modo di poter rientrare in Italia liberamente. 
Allora abbiamo messo insieme dei soldi, tanti, per fargli versare i contributi per l'emersione da un lavoro nero inventato (lui che di lavoro non ne ha mai avuto nemmeno uno nero) e li ha versati puntualmente dopo che un amico lo ha iscritto in un libro paga aziendale di cui lui ignora persino l'esistenza. Ha versato contributi al sistema previdenziale italiano con soldi che altri suoi connazionali ed io, insieme al mio fratello Pino, gli abbiamo regalato. Sì, perché ho imparato che loro sono abituati così: se ti servono dei soldi io te li do. Non importa se sono povero o ricco: se ne ho pochi te ne do pochi, ma lo faccio come si fa una cosa naturale. 
Insieme abbiamo passato tantissimo tempo, forse più di quello che io abbia trascorso con qualsiasi altro mio amico maschio in tutta la vita. Ci siamo raccontati la vita e gli ho insegnato un lavoro, il mio lavoro. L'ho portato con me a montare le mie mostre in giro per l'Italia, dandogli quella dignità di uomo e di lavoratore che gli spettavano molto più delle mortificazioni del venditore di collanine. Ho rischiato per lui e con lui introducendolo in luoghi di lavoro pubblici senza alcuna copertura assicurativa e senza alcun permesso di soggiorno: clandestino lui, incosciente io. Ma siamo stati felici, abbiamo riso, ci siamo confidati pensieri, ho suonato per lui le nenie del suo paese per farlo sentire come a una festa in mezzo alla sua famiglia. Ora tutto questo deve finire perché "non va bene questo" come lui ripete sempre. Ha finito da tempo di vendere accendini che nessuno gli compra più e anche le piccole elemosine sono estinte. Non va bene questo, me ne devo tornare in Africa. 
Non ho tempo per pensare a me e a quello che sto perdendo. Ora devo fare delle altre cose per lui. Presto. Devo mettere insieme i soldi per permettergli di acquistare il biglietto aereo di linea e farlo tornare al più presto al suo paese, dignitosamente, senza poliziotti alla frontiera e senza problemi al rientro a casa, come se fosse stato un viaggiatore di un lungo viaggio in un paese che non aveva niente per lui. 
Se io potessi farlo da solo, domani mattina Sidì sarebbe già su un volo che lo riporterebbe dopo tanti anni a casa da sua moglie e da un figlio che poco ricorda. Pronto a partire con i suoi 23 + 23 kg di bagaglio da stiva e 8 kg di bagaglio a mano, perché, come tutti i migranti, sa già tutto delle compagnie aeree e dei loro regolamenti bagagli. Ma questo biglietto non posso pagarglielo io. Non da solo. Non ce la faccio più neanche io. Posso solo chiedere a tutti gli amici e le amiche che lo hanno conosciuto in ICHOME di aiutarmi ad aiutarlo. Aiutarmi a mandarlo via da qui al più presto. Ognuno metta insieme quello che sente di poter offrire e lo consegni a me che lo consegnerò a lui. E lui se ne tornerà alla sua Africa, così com'è venuto quella volta da me, con un passo lento e il sorriso di un uomo buono.

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