domenica 27 dicembre 2009
La città che ci meritiamo
Un palo tra le gambe
giovedì 10 settembre 2009
Quando il titolo vent'anni dopo è sbagliato....
Chi è il maestro del lupo cattivo? Fin dal primo scatto questo lavoro si è chiamato così e, per ovvi motivi, il titolo non è mai cambiato in questi vent’anni. Lo avrei scelto diverso se avessi dovuto crearlo oggi? Probabilmente sì. Questo mio lungo e ossessivo lavoro di fotografia professionale e artistica – su un tema sociale pesante, come le radici della cultura della violenza sulla donna – oggi rappresenta per me una spina nel cuore non tanto per i motivi che l’originarono ma per fenomeni nuovi che allora non esistevano e che si sono imposti clamorosamente lungo il percorso. In origine, me ne andavo per le strade della metropoli milanese – sciatta e divorata da speculatori analfabeti sdoganati negli anni ’80 – fotografando i grandi cartelloni pubblicitari che coronavano palazzi, imbrattavano metropolitane, rendevano squallidi i tram, per documentare, prima a me stesso e poi alle persone che l’avrebbero visto, questo schifosissimo modo di vendere i prodotti attraverso l’esposizione dell’immagine femminile e il loro impatto sulla formazione delle coscienze dei giovani maschi che attraversavano la città.
Sì. Era incentrata la ricerca sulle conseguenze di questa sovraesposizione mediatici sessista sui maschi giovani e meno giovani. Andavo alla ricerca delle tracce dei maestri che allevavano lupi e violentatori, rispondendo ad un assunto che mi ero dato in partenza e cioè che “violentatori non si nasce”. Col passare degli anni il messaggio propagandistico è andato sempre più scivolando verso la volgarità, l’appiattimento della creatività, l’esibizione gratuita di donne in atteggiamenti da meretrici – escort si chiamano oggi – corredate da frasi sempre più esplicite e senza possibilità di equivoco: la città in cui vivevo prestava i propri muri non tanto come lavagne per la scuola di lupi cattivi, ma come luoghi della propaganda dei modelli femminili che di lì a qualche anno sarebbero diventati dominanti. Già! Scoprivo giorno dopo giorno una verità scioccante: il mio titolo era sbagliato! I giovani maschi non si erano spostati un millimetro dalle posizioni dei loro nonni in materia di rispetto e considerazione della donna. Le lezioni erano andate quasi deserte! Quelle che si erano spostate erano proprio loro: le giovani donne. Quelle migliaia di modelle disponibili che giacevano indisturbate sui muri vendevano qualcosa di più di un semplice prodotto, esse martellavano le giovani donne sulla necessità assoluta di appartenere al gruppo, al plotone delle tutte-uguali, delle ragazzine disposte a tutto per piacere ai maschi, illuse dalla stessa pubblicità di fare tutto ciò per “piacere a se stesse”. Si avviavano – neanche tanto lentamente – a diventare rampanti protagoniste, schiave della “dittatura della bellezza”.
Una manovra terra terra dal punto di vista comunicativo che si svolgeva sotto gli occhi accondiscendenti di tutte e tutti i cittadini. A Milano come altrove in Italia.
Forse questo lavoro era troppo avanti, prematuro, partito troppo presto. Quegli anni corrispondevano infatti proprio alla fase più forte della spinta verso i nuovi modelli di massificazione e – dall’altro versante – massima era la voglia e la naturalezza nell’accettarli non avendo altri valori da coltivare nel vuoto pneumatico della società che languiva intorno.
Mal si sopportava questo tipo strano di fotografo che, invece di arricchirsi fotografando le modelle distese per terra (cosa che sarebbe stata, di lì a qualche anno, acclamata da giovani fans di fotografi delinquenti), fotografava le fotografie dei fotografi che le avevano fotografate per terra e collezionava centinaia e centinaia di quegli scatti nella speranza di risvegliare l’opinione pubblica davanti a questo scempio nascente e possente.
Per quattordici anni invece non è successo nulla! Clandestinità e disprezzo, noncuranza e silenzio.
La mia attività passava come una lama trasparente fatta d’aria: nessun segno tangibile. Poi qualcosa cambiò grazie a due amici galleristi “indipendenti” di Milano che nel 2004 misero a mia disposizione gratuitamente lo spazio di una stanza in cui esporre le opere. Ma direi piuttosto “operette”… Si videro infatti in quell’occasione 450 provini a contatto 6 x 7 cm incollati su cartoncini spillati al muro. Non c’erano fondi per le stampe e costrinsi tutti a guardare piccolo piccolo, vicino vicino, ciò che in formato 6 metri x 3 facevano finta di non vedere più. Il seguito è stato in crescendo per la mostra – con altre 9 edizioni tutte di prestigio – ma è stato un precipizio per la pubblicità e la società. Immagini sempre più violente e popolo femminile sempre più allineato, escort dentro al potere, maschi che si depilano e non ho difficoltà a dire che in questi ultimi quattro o cinque anni mi sono sentito sopraffatto. La crisi si annunciava, le amministrazioni destinavano soldi agli stipendi dei dirigenti e dei consulenti e non ne avevano per finanziare le mie campagne, i galleristi vendevano opere leggere leggere. Il mio messaggio era troppo difficile, alcuni lo definivano “impegnato”, come fosse un’offesa.
Brutta situazione per uno che combatte con la macchina fotografica battaglie sociali.
Allora ho comprato una macchinetta digitale per continuare a documentare lo scempio senza spendere più soldi miei e ho lasciato che una sorta di silenzio scendesse dentro di me. Ho appoggiato la macchina fotografica professionale sopra un ginocchio e mi sono seduto su un gradino in basso, restando in ascolto di rumori nuovi.
venerdì 3 luglio 2009
3 prostitute all'Agorà
mercoledì 10 giugno 2009
Da Pericle fin qui
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Vista da così lontano questa goccia di storia ateniese "democratica" del V sec.a.C. ci lascia sgomenti. Anche in una società in cui le donne non erano nemmeno considerate cittadine (quindi non avevano né cariche né diritto di voto), e così pure gli stranieri di padre o di madre, in una società in cui esisteva la schiavitù ufficiale e un certo modo di intendere gli altri popoli (vedi l'origine del termine "barbaro", cioè coloro che non parlano greco), alcuni concetti fondamentali erano già fissati in maniera indelebile nel cuore di tutti. Cosa è successo in questa Italia negli ultimi 30 anni da fare in modo che i candidati più votati della lega siano stati uomini di sicuro animo razzista e antidemocratico? Certamente hanno sbagliato coloro i quali hanno ritenuto che la cosa pubblica non fosse interesse di tutti. E invece Pericle (e molti altri ancora meglio e prima di lui) e tu ci fate riflettere sull'intramontabile necessità di essere sempre e comunque cittadini attivi. Così, semplicemente. Senza vergogna. Sono loro che dovranno un giorno vergognarsi.
Bravo Fra'
sabato 6 giugno 2009
Come il primo minuto che viene dopo una guerra (Ivano Fossati)

mercoledì 27 maggio 2009
Con il silenzio negli occhi
martedì 26 maggio 2009
Fuori dalla tua porta ci siamo anche noi


Cara Francesca gentile e forte

Cara la mia amica Francesca gentile e forte
lunedì 20 aprile 2009
Volare Chopin

È così che Chopin mi è entrato in testa. Capita, a volte, che non abbiamo avuto l'occasione giusta nella vita per capire qualcosa che pure era lì da decenni, a volte da secoli. Fotografare il Giardino della Minerva era per me un'esperienza impossibile: troppo più importante di me. Allora ho pensato di raccontarlo ad occhi chiusi. Per quanto possa sembrare assurdo mi muovo nel Giardino per fotografarlo ad occhi chiusi. So che ogni fotografia sarà sbagliata. Non ce la posso fare! E non per mancanza di fiducia in me stesso ma per una evidente differenza di scala. Io non so niente di questi uomini che hanno creato questa meraviglia. Non ci siamo guardati negli occhi e non so cosa pensavano esattamente. Posso immaginare la finalità del loro operare caparbio, della ricerca spasmodica del seme introvabile, ma niente di più. Come queste note di pianoforte che entrano ed escono dalle mie orecchie accompagnate da contributi di altri inutili strumenti, io attraverso le aiuole sfidando l'ignoranza. Mi muovo a tratti e inciampo nei profumi e nella semplicità disarmante delle piante. Più sono piccole forse, più sono utili. Noi che abbiamo tutti e quattro i piedi in questo mondo di superficie e velocità non sappiamo cosa ci vorrebbero dire. Così mi siedo, quasi mi inginocchio, di fronte alle piante di timo, maggiorana, melissa e chiedo loro di aiutarmi. Per carità! Aiuto! Trasformare una piantina ricca di valore ma bruttarella in un'opera d'arte è per me sempre un'impresa disperata. È per questo che mi siedo. Mi siedo e aspetto. Aspetto un aiuto che alla fine sempre viene e mi stupisce. Il motivo era lì e io non lo vedevo. Non lo sentivo. Poi arriva questo Chopin tanto abusato che mi solleva da terra e mi fa volteggiare sopra le piante e tutto si sistema. Come faccio a spiegare l'emozione della musica che si trasforma in fotografia? Un giardino sospeso su una città che gira inconsapevole di tanta meraviglia, inondato dalle note di un piano che si diffondono tra una rosa canina e un cespuglio capriccioso di asparago. I notturni così famosi diventano per me musiche nuove dal profumo di menta e mela cotogna. Mi apposto, giro intorno, a tratti sono disteso per terra e sono così ridicolo che Bianca mi fotografa a sua volta. Che presunzione la fotografia! Tagliare un quadratino di universo e pretendere che gli altri provino delle emozioni! Ma io avevo il loro lasciapassare. Capelvenere e papiri avevano emesso il loro verdetto: potevo continuare. Allora su e giù per le terrazze, girando attorno al più bel ciliegio che avessi mai visto, in fiore fino all'ultimo ramo in quel giorno della pasqua al mezzo di aprile, direi quasi raggi invece di rami. L'unica immagine che mi venisse in mente da paragonargli erano gli alberi fantastici che aiutano Harry Potter nel film numero non so che cominciano a muoversi e lottare per il bene contro il male. In effetti anche queste mie immagini poverelle sono una lotta. Una tentativo di rallentare il mondo che ha preso a girare troppo veloce. È per questo che ho scelto di fotografare questo giardino come luogo massimo di contraddizione del pianeta. Le piante che hanno bisogno di tempi della natura e l'uomo che uccide ogni giorno la natura e se ne fa beffa. Sappiamo che è così ma inspiegabilmente voltiamo lo sguardo. Sappiamo che così finirà male ma sappiamo che non sarà per noi, ma per i nostri figli o nipoti e schiacciamo l'acceleratore. Bel regalo che ti faccio figlia mia! Allora mi concentro e cerco di non sbagliare il tagli, l'esposizione, la profondità per capire dove cominciano le piantine e dove finisce l'acqua per il riflesso. Che agitazione quando mi trovo di fronte a un piccolo fiore raro che cresce sopra la fontana e il sole sta girando troppo velocemente. Riesco a riprenderlo prima che sia troppo tardi. Mi guarda e sorride, mi fa capire che ha chiesto una piccola deroga per me. Per qualche secondo anche il sole si è fermato. Me ne salgo sulle scale contento e passo ai limoni con la fontana a stella di sapore molto antico e un piccolo albero di pruno che mi piace da vedere ma non riesco a fotografare bene e lo lascio in pace. Quando finisco trovo il tempo per sedermi ancora e guardare la chiesa dell'Annunziata e il porto dove sbarcano merci di altre epoche rispetto alle piantine mie e me ne vado con il cuore in pace lasciando a Chopin il compito di chiudere la porta.
lunedì 19 gennaio 2009
1)
salta bambina
salta bambina
questa è una mina
questa è una mina
corri bambino
corri bambino
quello è un cecchino
quello è un cecchino
piange la nonna
piange la nonna
senza la gonna
senza la gonna
torna sorella
torna sorella
come sei bella
su quella barella
2)
quant’è armato questo carro
da vicino è un po’ bizzarro!
se mi passa pian pianino
gli darò un bel bacino
e se mi vedrà l’omino
gli darò un fiorellino
sussurrando per benino
5)
questo è un anno assai speciale
ogni cosa va un po’ male
ho la casa nella scuola
ho le bombe nell’aiuola
c’è lo scivolo deserto
e c’è un fosso bello aperto
se continua a questo passo
qui la vita è un grande spasso
niente compiti e lezioni
solo aerei da aquiloni
14/3/07
10)
non mi importa mica tanto
chi ha sparato e da che canto
so soltanto che al mattino
ero uscito col papino
cercavamo un bel giardino
per giocare a nascondino
siamo scesi per la strada
ma è scoppiata l’intifada
non più pietre né schermaglia
qui si spara e si mitraglia
per cercare un paravento
ecco un blocco di cemento
il papino è tutto bianco
io mi infilo nel suo fianco
fischi e urla razzi e fuoco
non mi sembra proprio un gioco
quando tutto a un bel momento
si raffredda anche il vento
vedo il cielo che mi manca
e una luce bianca bianca
stringo forte il mio papino
ma la luce è un lumicino
riesco solo un momentino
a mandargli un bel bacino
e guardardo nei suoi occhi
vedo tutti i miei balocchi