venerdì 29 marzo 2013

Nel suono del padre e del figlio



Ho fatto bene a dedicare tanto tempo alla fotografia nella mia vita perché, pur nella sua qualità di arte muta, mi ha aiutato a raccontare le emozioni in un modo a me altrimenti impossibile. Nel mio rifugio oltre le parole e oltre le consuetudini umane dei discorsi mi scalda il cuore sapere che in una semplice immagine fotografica la potenza di un fremito, di un brivido, possa essere raccontata, passata, da me a chi ha voglia di sentirla e viverla, senza aggiungere altro, senza altre convenzionali traduzioni. Così il 26 marzo ho vissuto uno di questi momenti della mia vita in cui la fotografia mi ha dato una mano a raccontare: ero seduto per terra sulla balaustra dell'aula magna rosso-e-legno dell'Università Bicocca di Milano e davanti agli occhi scorrevano scene inconsuete e perciò magnifiche. Rettori che parlavano della cultura come nostra salvezza, professori che rivisitavano in toga e cappellino da cerimonia la potenza del jazz come arte e arma rivoluzionaria perché uscita da un altrove che non era la borghesia e aiutava i non-borghesi a riconoscersi, a camminare insieme e anche a lottare per un mondo migliore. Tutto questo convegno di persone e personalità era un tributo a un artista, un musicista, uno dei miei più amati per giunta, a un uomo che si era fatto trombettista quasi da solo a discapito della geografia biologica che gli era toccata. Ed è diventato uno dei più grandi, tanto grande che gli hanno dato una laurea onoris causa non più per la tromba ma per il suo impegno sociale, per l'amore per la sua terra, la Sardegna, ma anche per i suoi paesani, le sue cugine e i suoi amici del bar, quindi per tutti noi. L'umanità che non viene scalfita dal successo è ciò che gli è valso un riconoscimento così elevato. Per essere rimasto uno di noi pur essendo un grandissimo musicista, per non aver dimenticato che il mondo si continua da padre a figlio (il suo piccolo presente in sala) e per non aver dimenticato di discendere da un padre che era stato tutt'uno con la sua terra madre. E quell'omino tarchiato e ormai anziano era lì in prima fila, contorniato da persone che stavano dando anche a lui un tributo che mai avrebbe immaginato di meritare 50 anni prima. Nel suono del padre e del figlio ho sentito la terra madre che si agitava dentro di me, che mi strappava le viscere senza riguardo. Il suono del figlio insieme ai suoni antichi del padre fluivano da cuore a cuore senza perdere la strada. E la fotografia mi ha dato il modo di scrivere questa scena in cui i due uomini sono lì, uno di fronte all'altro, entrambi tamburellando con le dita delle mani sui tasti della tromba o su una testa ormai calva con la pelle disegnata dal maestrale. La compressione dell'immagine dovuta a un mio amato obiettivo che non usavo più da anni, il 200 mm, e la posizione fortunata nella quale mi sono trovato (o forse mi sono andato a mettere) me li ha ravvicinati oltre la fisica percezione degli altri presenti. E la meraviglia è questa: vedere questo figlio famoso che si china con il suo gesto mistico sullo strumento portavoce dell'anima sua e il padre che si gratta la testa con un gesto primordiale, guardandolo da un sipario fuori dal tempo. 

Milano, 29/3/13