martedì 13 luglio 2021
e la regina dov'è?
martedì 1 dicembre 2020
Racconto di una ferita (mentre la ferita è ancora aperta).
Raccontare con la fotografia i centri storici mi ha attratto fin dagli anni della mia gioventù, prima ancora dell'ormai quarantenne terremoto. A spingermi in questa dimensione spazio-temporale credo sia stata la mia passione per il "silenzio narratore", tipico della fotografia di ricerca, unita poi alla formazione da archeologo sopraggiunta nei primi anni '80. Il fine mi sembrava nobile: la ricerca del più antico nascosto più o meno consapevolmente sotto al più moderno per dargli ancora una possibilità di vita, di espressione, di testimonianza, di insegnamento. Nello svolgere questo percorso ho naturalmente appreso molte cose ma sopratutto mi sono persuaso che le cose si vedono molto meglio – e quindi si riescono a raccontare con forza anche senza tante parole – attraverso il mirino di un apparecchio fotografico, rispetto allo sguardo comune a occhio nudo, diciamo così. Questo perché i frammenti di un passato più o meno lontano, isolati dai quattro bordi neri di quella piccola camera di osservazione posta in testa alle mie macchine fotografiche, risplendevano di una luce propria che conferiva loro in più esplicito valore. Anche agli occhi di quanti passavano e non vedevano ma che avrebbero visto le mie stampe fotografiche. Col passare degli anni questa mia attività, divenuta in certi periodi quasi un'ossessione, è andata scemando fino ad esaurirsi – irresponsabilmente, lo devo ammettere – sotto i colpi dell'indifferenza e della diminuita sensibilità dei più moderni cittadini e dei più moderni cittadini-amministratori rispetto ai valori invece eterni insiti nei beni culturali nel loro complesso e quindi primariamente nei centri storici.
La fotografia non aiuta a leggere le complessità di un disegno urbanistico e tanto meno riesce a farlo nello stretto di un centro storico come i Pianesi di Cava de' Tirreni che costituiscono uno dei nuclei più caratteristici e antichi della città composita. Gli spazi sono spesso angusti, articolati, intersecati, nascosti, ma portatori di storia e di storie che nei centri detti non casualmente "storici", ci stanno bene e ci devono rimanere per salvare un bene essenziale: la nostra identità. La perdita di sensibilità di cui parlavo prima ha invece comportato un abbassamento sulla bilancia dei valori contemporanei del valore di questa identità, inducendo alla conseguente ammissibilità della cancellazione. Cancellazione di superfici, di tecniche murarie, di volumi, di luci, di singoli elementi architettonici e decorativi, di omogeneità tra gli elementi di arredo, di percorsi per gli spostamenti, di verde, di testimonianze che l'abbandono aveva ridotto minime ma un tempo non lo erano, di bellezza del colpo d'occhio.
Tutto ciò è condensato spettacolarmente nell'ampio cratere che ho visto ieri percorrendo la via Formosa, praticato per la creazione di un garage, mi hanno detto, ma non mi importa nemmeno sapere se questo dettaglio sia veritiero o meno. Troneggiante una ruspa su uno sfondo che lasciava emergere – al posto del romantico muro antico con esedra, brutalmente abbattuti – pareti possenti di cemento armato, mi sono tornati in mente gli scatti che facevo da ragazzo quando si abbattevano e si sfregiavano edifici antichi e testimonianze di varia tipologia per far spazio nella nostra città a una modernità quanto meno discutibile.
Ma perché racconto ancora oggi tutto questo? In fondo in fondo... non lo so neppure io. In un capovolgimento così spettrale dei valori che oggi sembrano importanti una testimonianza del genere non credo possa avere un effetto significativo né su quello che si è già abbattuto né su quello che ancora rimane più o meno in piedi. Forse lo racconto per quei bambine quelle bambine che ancora potrebbero capirlo quando qualche maestra volenterosa parlerà loro della storia e di quello strano concetto dell'identità.
martedì 28 aprile 2020
DOPO. Quasi uno scioglilingua.

mercoledì 25 marzo 2020
Che bel fior!
venerdì 18 maggio 2018
Cavalieri imbecilli su merli sbagliati. 2
Cavalieri imbecilli su merli sbagliati. 1
lunedì 5 febbraio 2018
La strada sbagliata e il regno del silenzio
giovedì 3 agosto 2017
Perle ai porci e jazz agli animali.

mercoledì 29 marzo 2017
Le lacrime, il tempo e le ciliegie
giovedì 8 dicembre 2016
I tempi, i diaframmi e la disciplina delle cose semplici.
Le masse siamo noi, quelli che finiscono per vivere in una gigantesca bolla la cui aria è costituita appunto da quelle informazioni che i pochi con il potere di farlo inseriscono ad arte. E cosa succede dopo tanta esposizione a quest'aria viziata? Succede che ne siamo completamente pervasi e la respiriamo senza più accorgercene e diventiamo protagonisti di scelte e di vite che nemmeno più ci appartengono.
Mi limito quindi a scrivere le mie spontanee riflessioni e le racconto in modo oscillante e lievemente sfocato postandole sotto la fotografia di un meraviglioso bocciolo che spunta in purezza da una rosa appassita al Roseto della Villa Reale di Monza. Forza della metafora!
Ma perché lo fanno? Perché – a dosi differenti per ognuno di noi – lo facciamo? A quale mondo pensiamo quando continuiamo a convincerci e a ripetere cose false o altamente improbabili che sappiamo essere di parte, motivate da interessi che in fin dei conti non sono i nostri, che potrebbero portare dei benefici per noi effimeri, lontanissimi, o quasi sempre non li portano e – attenzione attenzione – non li hanno portati per niente già in passato?
Difendiamo poteri forti e stili di vita che non sono nostri, che non raggiungeremo mai e che forse non ci interesserebbe nemmeno raggiungere. Ci iscriviamo idealmente a club esclusivi che ridono di noi e non ci farebbero mai entrare nelle stanze del comando. Non ci ricordiamo di aver sentito parlare, di avere letto dei semplici perché che pure da qualche parte non lontanissima esistono e sono stati svelati fin nei minimi dettagli da coraggiosi individui che li hanno già smascherati. Tutto ci è stato detto ANCHE in un modo differente, vero, più vicino alla realtà dei fatti, tutto è già stato pubblicato: le guerre, le stragi, gli omicidi, le mafie, la politica, il condominio, il lavoro, il clima, le migrazioni e tutto e tutto e tutto. Volendo, sappiamo già tutto. Voltiamoci indietro a guardare lo sviluppo dei grandi fatti della storia recente: tutto era già chiaro e conosciuto fin dall'origine, fin dalle prime menzogne: da Peppino Impastato alla Guerra del Golfo, dalla storia di questo assurdo referendum alle stragi di migranti, da Ilaria Alpi alle bombe di piazza, dagli aerei che esplodono alle cure per l'AIDS in Africa, dall'EXPO vero a quello raccontato.
Credo che ciò avvenga perché ormai le masse che vivono artificialmente quelle vite a prestito sono diventate troppo grandi, sono aggressive, sono dappertutto, si sono autoproclamate vincenti (!!!) al pari dei vincenti veri, di quei pochissimi che comandano. Queste masse ci schiacciano, ci soffocano nella nostra piccola diversità, nella nostra accanita e a volte ossessiva ricerca di semplicità. I valori, le convinzioni dominanti non riusciamo più a combatterli perché sono entrati nel cuore dei nostri vicini, dei nostri amici, dei nostri amori e una loro difesa ci mostrerebbe agli occhi di queste persone come romantici, anacronistici, idealisti, troppo-puri, scomodi, fastidiosi, perdenti, sfigati, secondari, marginali, inferiori. E noi non possiamo permettercelo: siamo troppo deboli, troppo soli, è troppo faticoso, troppo doloroso.
Per riportare il pensiero nell'alveo di questo blog dedicato alla fotografia e alla politica, dico che nella mia esperienza di artista, la semplicità di questa disciplina sociale è molto simile a quella che esiste per la fotografia d'autore, dove si racconta il pensiero di un uomo o di una donna attraverso un fotogramma di poesia e di luce. Un prodotto apparentemente complesso, esattamente come la nostra vita sociale, ma costituito in fondo da tanti elementi semplici, elementari, che vanno combinati in una struttura articolata e potente, funzionale come un bilancio di un'azienda, la gestione di una ASL o la riforma di una costituzione democratica.
Da questa semplicità individuale credo possa derivare un maggiore benessere per tutti e anche... un migliore album di foto, in quest'epoca di sofferenza globale per l'occhio e per il cuore. Tuttavia, per fare ciò dobbiamo avere la forza di lasciare da parte i nostri interessi, sì! i nostri interessi spasmodicamente difesi e dedicare una parte importante delle nostre forze alla formazione di un interesse comune, portato verso il più grande numero di persone possibili e non asservirci volontariamente al mondo del potere e dell'interesse privatissimo di pochissimi che di noi, delle masse, non si curano affatto e che... non guarderebbero mai le nostre fotografie perchè non saremo seduti mai nel loro fottutissimo salotto.
venerdì 11 novembre 2016
11_11_11 La nascita del lupo e la "pressione di genere".

giovedì 7 aprile 2016
Il babà, gli amici e Pasquetta
lunedì 22 giugno 2015
Vitruvio, il faraone e la Fondazione
mercoledì 18 febbraio 2015
Famà che torna in Africa
giovedì 15 gennaio 2015
La bella e le bestie
martedì 15 luglio 2014
Voleteci bene!
Per quasi 20 mesi le zattere sono state abbandonate sulla spiaggia sommerse dalle alghe delle difficoltà contingenti, dalle sofferenze personali e anche dall'indifferenza, tutti elementi negativi che hanno allontanato energie e cuori dalle cime e dalla rotta.
venerdì 7 febbraio 2014
finalmente una citazione anch'io
Allora anch'io, correndo il rischio di odiarmi quando leggerò, faccio una citazione! Lei dice, riferendosi alla sua scrittura e ai suoi personaggi, qualcosa che io penso sempre e che non avrei saputo dire con altrettanta bravura. Non essendone capace, prendo le sue parole e ve le giro, chiedendovi di sostituire ai suoi personaggi le scene delle mie opere fotografiche di cui, onore grande, due sono finite a fare da copertina dei suoi due libri che l'intervistatore riconosce come più trasparentemente sociali. Sarà un caso? Non credo. La seconda parte riguarda la poesia che pervade le sue storie e le mie fotografie.
"Considero l’esistenza la migliore fonte teatrale da cui attingere. Anche volendo impedire ai miei personaggi di agire come preferiscono, loro nascono attori. Io conto poco, sono ingovernabili, dormono quando vogliono, dialogano tra loro ignorandomi. Spesso sono consapevole di non essere regista di un bel niente. Raccontare è sempre teatro, e alla fine c’è un sipario che si chiude. A volte applausi, a volte no: questo mi piace molto.
(...) Lei (la poesia) arriva come nebbia sopra ogni mia parola: è inevitabile. Pur cruda sa possedere una sua dolcezza. Non saprei mai scrivere senza la sua compagnia. Certe volte ci provo, snaturandomi, ma torno all’istante dalla mia anima."
Grazie Savina, amore mio.
lunedì 3 febbraio 2014
Mi guardo la faccia e mi tengo compagnia. Con tenerezza.
Ora che mi vedo in questo ritratto mi faccio tenerezza: non sono più giovane e i segni degli anni si misurano nella pelle più rovinata, nelle rughe sotto gli occhi, nei capelli bianchi che spuntano dal basco nuovo, nel silenzio dello sguardo. Il pullover ha almeno 15 anni e, lui sì!, si mantiene giovane.
Ma cosa sto guardando? a cosa penso? Sicuramente penso ai giorni che stanno per venire, al giorno dopo, 27 gennaio in cui farò il trasloco dalla mia casa di convivente alla stanza da singolo che mi aspetta. Tanti interrogativi e soprattutto tanti vuoti davanti a me, senza alcuna certezza né sul prima da interpretare, né sul dopo da inventare, necessariamente diverso dal prima.
Ho gli occhi miti e l'espressione di uno che sa che ha perso troppe battaglie nella vita per aver ancora voglia di combattere. Mi sembro stanco dalla faccia e dall'espressione, ma ho una punta di sorriso, un sorriso che direi benevolo verso quello che ancora mi resta da vivere. Poco o molto che sia mi sembra che non vado di fretta.
venerdì 29 marzo 2013
Nel suono del padre e del figlio
Milano, 29/3/13